Anatomia di una Vendetta.Così può essere riassunta l’ultima,bellissima,pellicola del regista sudcoreano Ji-woon Kim,che torna sul tema della nemesi dopo “Bittersweet Life” (2003).Tematica ricorrente nel cinema della Corea del Sud,se si ripensa alla magnifica “Trilogia della Vendetta” di Park Chan-wook (“Sympathy For Mr. Vengeance” – “Oldboy” – “Sympathy For Lady Vengeance”),e ovviamente presente nel cinema di tutto il mondo.La vendetta e le sue declinazioni,le sue conseguenze,il suo potere di trasformare una persona,è stata analizzata sotto molti punti di vista,per lo più di natura morale:la spinta a vendicarsi come abbruttimento dell’essere umano in preda alla febbre di una rabbia mista a dolore.Il film di Ji-woon Kim prende in considerazione anche questa prospettiva,ma non solo,ed è questo ciò che lo rende unico nel suo genere:coinvolgente,ricco di pathos e distaccato al tempo stesso ma in primo luogo ricca fonte di riflessione.
La storia parte con l’omicidio della giovane Joo-yeon,figlia di un capo della polizia in pensione e fidanzata dell’agente segreto Dae-hoon (l’eccellente Byung-hun Lee),ad opera del serial killer Kyung-chul (lo straordinario Min-sik Choi,che qui dà vita e corpo a un villain assolutamente memorabile).La scena del ritrovamento del cadavere decapitato in un fiume è già di per sé da mandare a memoria,col padre e il fidanzato in preda al dubbio sull’identità della giovane,in un girotondo di caos e sofferenza,fino all’accidentale caduta della testa del cadavere da una scatola in mano ad un agente.Dae-hoon,in preda al dolore,promette vendetta all’amata e alla sua famiglia.
Inizialmente aiutato dal padre di lei,che gli fornisce le foto segnaletiche dei possibili sospettati,il giovane comincia la sua personale discesa agli inferi,in preda alla sete di giustizia,alla sofferenza senza possibilità di conforto,a una rabbia che non conosce argini.L’uomo che dà la caccia al mostro,trovandolo,e iniziando con lui una nuova,sadica caccia a circuito chiuso,diventa mostro egli stesso,ed apparentemente simile a colui che odia.
Dae-hoon arriva dunque a lui,Kyung-chul,passando per la sua famiglia (altro tema estremamente importante nel film);killer psicopatico,sadico,di grande carisma e astuzia,autista di scuolabus,viene catturato dal giovane in un momento visivamente forte (lo stupro di una giovanissima studentessa),spingendo così lo spettatore ad odiare completamente il villain e a trovare catarsi nelle prime torture da parte di Da-hoon,che gli promette che non finirà così,che quello è solo l’inizio di un lungo incubo in cui la morte arriverà unicamente al culmine della sofferenza.
Comincia così il gioco del gatto col topo,in cui il giovane agente segreto,con uno stratagemma, tiene perennemente le tracce del killer,lo lascia apparentemente libero,anche di uccidere ancora,per poi riprenderlo,e riprenderlo di nuovo.”La genesi di un mostro”,come la definisce il killer cannibale amico di Kyung-chul.
Fin qui la chiave di lettura è apparentemente soltanto morale:Dae-hoon sfoga la sua rabbia e il suo sadismo dolorosamente,ma non senza compiacimento,nonostante la famiglia della ragazza tenti di fermarlo poiché ciò che fa “non la riporterà indietro”.Ma subentra il fattore sorpresa,il colpo di genio,la chiave interpretativa fin qui non considerata:mai cercare di battere il Diavolo,perché egli vincerà sempre in astuzia.Dae-hoon commette un errore fatale:sottovaluta il mostro. “Io non conosco il dolore,non conosco la paura.Dunque non c’è nulla che tu possa portarmi via.Per quello tu hai perso e io ho vinto”,queste le parole di Kyung-chul,che meglio di qualsiasi altra definizione riassumono il concetto di come la glacialità di una mente crudele finisca inevitabilmente per avere la meglio sule fiamme del dolore e della sete di vendetta.La crudeltà è razionale nella sua follia,il Male conosce mille astuzie.
Il finale è preceduto da altri colpi di scena,un finale apparentemente elementare,semplice ma assolutamente bello,inesorabile,dolente.Il film inizia con un tragitto in auto,in andata,e termina con un cammino in ritorno,fine di un percorso nell’abisso,faccia a faccia col mostro/Diavolo dentro e fuori dal Sé.
Una pellicola dunque magnifica,da amare o odiare,che non ammette mezze misure,forse troppo convenzionale nella prima parte ma che scatena tutto il suo potenziale nella seconda.
Mai cercare di battere il Diavolo,poiché sia la vittoria che la sconfitta saranno,inevitabilmente,assai amare.
Araknex/Chiara Pani
(araknex@email.it)
Titolo Originale: Akma-Reul Bo-At-Da
Titolo Internazionale:I Saw The Devil
Corea del Sud – 2010
Regia: Ji-woon Kim
Pellicola da amare o da odiare dici. Io LA amo! Uno dei film più belli della scorsa stagione. I thriller coreani sono girati secondo me in modo molto superiore ai concorrenti hollywoodiani e poi quando si parla di serial killer...per il resto del pianeta non ce n'è...
RispondiEliminaMi ha dato quell' impressione, quando la vidi, quella di un' opera che poteva comunque suscitare pareri diamtralmente opposti. Anch' io la amo moltissimo :) Il concetto di uccisione nei film coreani è spesso legato a quelo di Vendetta, è tema come si sa ricorrente nel loro cinema, quasi un leit motif. Vendetta che diventa quasi una forma di riscatto di un onore perduta, di un riguadagno di un determinato diritto che si è perduto. Credo sia anche questo a rendere unico il loro cinema.
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