Blog di critica cinematografica, partendo dall'horror per andare oltre, molto oltre

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venerdì 2 dicembre 2011
29° Torino Film Festival : un primo bilancio
A due giorni dalla conclusione di questa 29° edizione del Torino Film Festival, ecco il primo bilancio, in attesa di tirare le somme finali. Edizione nel complesso inferiore alle precedenti, con una selezione di film non sempre all' altezza; questo dal punto di vista della sottoscritta, che per ovvi motivi ha potuto visionare solo alcune tra le molte pellicole presentate. Si aggiunge qualche disagio organizzativo: la soppressione della navette che collegano i vari cinema, alcune sale troppo piccole, personale non sempre gentilissimo.
Apro le mie personali danze nella giornata di Sabato, alla scoperta del per me fino ad allora sconosciuto Sion Sono, al quale il Festival dedica una splendida retrospettiva, forse una delle punte più alte di questa edizione: rimango sconvolta e affascinata da Strange Circus, un delirio filmico di colori, dominato dal rosso/sangue, una storia che resta come una ferita, avvolgendo e travolgendo lo spettatore. Scoperta felice, anzi, felicissima, di un cineasta che mi resterà nel cuore. La serata mi riserva invece una brutta sorpresa, col terribile The Oregonian: pellicola assolutamente mal girata, ai limiti dell' inguardabile,un vacuo scimmiottamento di David Lynch ridicolo ed inutile. Rimozione mentale assolutamente necessaria,e nella mente la domanda "ma perchè a certa gente è permesso di fare del cinema?". Pollice assolutamente verso.
Meglio la domenica: inizio col non brillantissimo Mientras Duermes, di Jaume Balaguerò: un thriller troppo lento per essere tale, ma che offre comunque alcuni momenti buoni. Non memorabile, ma nella media. Proseguo col divertente Attack The Block, intrattenimento puro ma troppo buonista e Spielberghiano per i miei gusti. Un' oretta e mezza spensierata, ma nulla di più. Alle 22.30, ecco la mia piccola perla, non dal punto di vista filmico ma puro amore personale: The Ballad Of Genesis and Lady Jaye,di Marie Losier ,documentario sul musicista (e artista a 360°) Genesis P. Orridge dei miei amati Psychic Tv, Throbbing Gristle e Thee Majesty e sulla sua storia d'amore con Lady Jaye, finita tragicamente. Esco dal cinema un po' triste, ma emozionata.
Dopo la pausa di Lunedì, mi rimetto in pista il giorno successivo, dal mattino presto col non eccelso Bereavement, al quale ho dedicato una recensione. Un film che parte bene, molto bene, per poi perdersi purtroppo in un plot sfilacciato e in un mare di prevedibilità: peccato, per quello che finora è l' unico vero horror da me visto al Festival. Torno in serata per il deludente Dernière Séance, troppo debole per risultare convincente. Arrivo a Mercoledì, e si inizia in bellezza col meraviglioso A Confession, del coreano Park Su-min: lento, epico, dolente. Finora, uno dei film più belli da me visti in questa edizione. Proseguo con l'atteso The Raid: puro cinema di genere, arti marziali a tutto spiano, divertente ma anche ripetitivo. Riserva comunque alcuni ottimi momenti e può meritare la visione.
Tento invano la missione impossibile per Cani Di Paglia di Peckinpah nel minuscolo Massimo 3, tutto esaurito, ergo ripiego su un titolo non inserito nella mia scaletta personale, il portoghese Sangue Do Meu Sangue: un film semplice, ma bello nel suo essere "povero" di mezzi ma con un cuore grande. Lascio la sala prima del termine per prendermi un break, un po' dispiaciuta nel perdermi il finale di un film che mi ha comunque colpita. In serata, proseguo il mio excursus al di fuori del cinema di genere, con Les Bien-Aimés di Christophe Honorè: cinema francese puro, una commedia/ dramma in un' insolita forma cantata che fa sorridere, riflettere, commuovere. Una grandissima Catherine Deneuve e una bravissima Chiara Mastroianni per un film che appartiene ad un tipo di cinema che da molti anni coltivo di meno ma che è stata una bella boccata d' ossigeno. Trés joli.
La giornata appena trascorsa, Giovedì, si apre con un altro capolavoro di Sion Sono, Cold Fish: estremo, delirante, esplode inesorabilmente in uno splendido finale. Unico altro film nel mio programma della giornata è Ghosted, prison-movie graziato unicamente da un bravissimo John Lynch ma talmente prevedibile da risultarmi fatalmente soporifero, viste le scarse ore di sonno al mio attivo: mi addormento all'inizio,mi sveglio sulla scena finale. Credo di non essermi persa nulla.
Oggi sarà la volta di Intruders, che attendo con grande curiosità, di 388 Arletta Avenue, sul quale ho sentito pareri assai discordanti, e tenterò la seconda missione impossibile questa volta per Into The Abyss del mio amato Herzog nella microscopica sala del Greenwich 3, già esaurita da stamattina con cocente delusione della sottoscritta, che lascia il box office a testa bassa ma ripromettendosi di fare un estremo tentativo. Vedremo se riuscirò nell' ardua impresa. Dopotutto, Fitzcarraldo ha portato una nave su una montagna: se Herzog docet, forse potrei farcela.
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29 ° Torino Film Festival:Bereavement (2010)
pubblicata anche su Nocturno.it
Bereavement (2011)
Minersville, Pennsylvania, 1989: Martin, un bambino sofferente di una rara malattia che causa una totale insensibilità al dolore fisico, viene rapito da uno psicopatico che porta in sé le ferite di un’ infanzia durissima, e portato nel mattatoio in disuso dove vive. Cinque anni dopo la giovane Allison si trasferisce nel paesino, ospite degli zii, in seguito all’ improvvisa morte dei genitori. Due storie parallele che finiranno, inevitabilmente, con l’incrociarsi.
Potrebbe essere definito una sorta di “horror di formazione” questo Bereavement (“Lutto” ), pellicola firmata dallo statunitense Stevan Mena e presentata alla XXIX edizione del Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile. Il film è il prequel di Malevolence (2004), dello stesso regista, dunque qui vediamo l’ antefatto, l’ origine e genesi di un killer. Il film parte bene, anche ad un’ eccellente realizzazione tecnica: ottima regia e montaggio, bellissima la fotografia, ad opera di Marco Cappetta, artefice di immagini suggestive ed efficaci nel delineare la differenza tra le scene ambientate nel mattatoio, il folle microcosmo di Graham Sutter (ogni riferimento non è casuale, in un film molto citazionista), ed il mondo esterno: nelle prime, la fotografia è quasi seppiata, irrealistica, rendendo ad arte la dimensione da incubo dell’ ex slaughterhouse. Molto importante l’uso del suono, sia nello splendido score, realizzato dello stesso Mena, sia nella messa in scena delle uccisioni : l’ alternanza tra mostrato e suggerito si mescola ai rumori amplificati del coltello che affonda nelle carni, dell’ ascia che amputa, dei ganci da macellaio che penetrano negli arti. La rara malattia di Martin, un disturbo che causa la totale insensibilità al dolore fisico, è spunto interessante, così come il rapporto tra Sutter ed il piccolo, costretto ad assistere alle gesta omicide del pazzo, che si evolve fino a diventare vera e propria formazione di un killer. Graham è il frutto di un padre violento, col quale egli “dialoga” nei suoi deliri; un inquietante (e visivamente efficace) teschio bovino appeso al muro è il simbolo di quella figura paterna che l’ha reso ciò che è.
La storia di Allison scorre in parallelo: in seguito alla morte dei genitori, è costretta a trasferirsi proprio in quel paesino rurale, ospite della famiglia dello zio, Jonathan, un ottimo Michael Biehn. Le difficoltà della ragazza, il lutto che la opprime, si alternano alla storia del killer e del suo piccolo testimone: finiranno, ovviamente, per incrociarsi. Nel cast figura anche John Savage, nel non memorabile ruolo di un padre paralitico ed alcoolizzato, poco più che un cameo.
Si parte bene, ma ci si perde verso la parte centrale: i deliri di Sutter iniziano a diventare ripetitivi e come villain è debole, non ha carisma. Troppi clichè sono risaputi e si pesca a piene mani dal repertorio horror più sfruttato, a partire da Texas Chainsaw Massacre fino al più recente Frailty; Allison non ha un milligrammo della forza delle eroine slasher anni ’80,e si limita ad urlare e girare in canottiera lasciando intravedere le sue generose grazie. Il finale è fastidiosamente prevedibile, così come il segmento che arriva dopo i titoli di coda e che dovrebbe rappresentare l’effetto sorpresa.
Un film dunque solo parzialmente riuscito, che alterna momenti efficaci ad altri debolissimi e sul filo della noia. Assai bello visivamente in alcune sue parti, ma una bella confezione non basta a riscattare un prodotto privo di una vera sostanza.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Usa – 2010
Regia: Stevan Mena



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