giovedì 29 novembre 2012

La mia recensione di "The Liability" (2012) di Craig Viveiros per Point Blank - Torino Film Festival XXX edizione


Con molto ritardo rispetto al suo inizio, che ha avuto luogo ad Halloween con la mia recensione di [REC]³ Génesis, colgo l'occasione per annunciare, con orgoglio, la mia nuova collaborazione con Point Blank


Per Point Blank dico la mia su The Liability, debole pellicola di Craig Viveiros, in concorso al TFF XXX edizione.



http://www.pointblank.it/?p=27246 









The Liability (2012)


The Liability, pellicola targata Uk e firmata da Craig Viveiros, già presente al Torino Film Festival lo scorso anno col deludente Ghosted, è il terzo lungometraggio del regista britannico. Film che, sulla carta, pareva promettere bene: in primis, per la presenza nel cast di due giganti come Peter Mullan e Tim Roth, e per un canovaccio narrativo apparentemente intrigante.
Il diciannovenne Adam (un convincente Jack O’Connell), ha una madre bella e procace e un ricco patrigno, Peter (Peter Mullan) invischiato (a dir poco) con la malavita. Dopo aver distrutto l’auto dell’uomo, si vede assegnare come punizione l’incarico di autista per conto di Roy (Tim Roth), un killer in procinto di uscire dal giro. Non tutto fila liscio come dovrebbe per il maldestro Adam, che non ha la stoffa del malavitoso, e l’incontro con una ragazza che ha dei conti in sospeso con i loschi traffici di Peter (una Talulah Riley troppo bamboleggiante per risultare credibile) complicherà ulteriormente la situazione.

L' opera si rivela deludente su più fronti: Mullan (la cui presenza sullo schermo è dosata col contagocce) e Roth recitano senza troppa convinzione, interpretando uno stereotipo di loro stessi, per quanto il personaggio di Mullan, nel finale, riesca a regalare uno dei momenti migliori del film, e la presenza di Roth sia sempre un cinefilo piacere. Due giganti usati come specchietto per le allodole, che non bastano a salvare un prodotto sostanzialmente inconsistente e senz’anima, l’ennesima pellicola di cui si poteva tranquillamente fare a meno.

Viveiros è ambizioso nel tentativo di mescolare generi diversi (gangster movie, dramma e commedia), ma il risultato è soltanto un’incertezza di registri scarsamente convincenti. Il lato comedy si regge su gag risapute e situazioni trite, i momenti drammatici scadono in un buonismo nauseante ed il coté noir, l’unico su cui sarebbe stato lecito puntare qualcosa, non è altro che l’ennesima, scialba fotocopia degli innumerevoli gangster movie britannici alla moda passati sugli schermi nell’ultimo decennio. Si assiste così a una fiera del già visto, un insieme fragile e fatuo, che parte da uno spunto potenzialmente efficace, sprecato nell’imboccare la strada più facile e superficiale.

L’incipit è buono, con una scena di omicidio sulle note di Una Rotonda Sul Mare di Fred Bongusto, indubbiamente derivativo ma convincente; la premessa/promessa viene ben presto smentita da una sfilata di luoghi comuni e situazioni improbabili, in un film privo di nerbo e di una cifra stilistica caratterizzante.

The Liability  è risultato, tuttavia, assai gradito a una fetta di pubblico del Torino Film Festival, in una prima proiezione astutamente collocata di sabato sera: ciò è sintomatico della natura esclusivamente commerciale della pellicola, adatta ad una distribuzione in sala ad uso e consumo di palati non troppo fini, ma  che risulta fuori luogo in un Festival le cui selezioni non necessitano di strizzare l’occhio al botteghino.

L’opera di Viveiros, dunque, si preannuncia come un potenziale successo al box office, ma non possiede la robustezza necessaria per poter essere considerata pregevole: un film vuoto, che non lascia assolutamente nulla e che si dimentica con la facilità propria dei tipici prodotti mordi e fuggi.

Chiara Pani
(araknex@email.it)

The Liability
Uk - 2012
Regia: Craig Viveiros

 

mercoledì 28 novembre 2012

La mia recensione di "Holy Motors" (2012) di Leos Carax per Positifcinema - Torino Film Festival XXX edizione


Continua la carrellata all'ombra della Mole col magnifico Holy Motors, di Leos Carax, per Positifcinema


http://www.positifcinema.it/holy-motors-di-leos-carax-festival-cannes-torino 









Holy Motors (2012)


La Bellezza Del Gesto

“La Bellezza è nell’occhio di chi guarda”
“e se non ci fosse più nessuno a guardare?”


La Visione pura diventa Cinema, nella sua accezione più alta, in Holy Motors, l’ultimo capolavoro di Leos Carax, giunto dopo ben tredici anni di inattività in una carriera complessa ed atipica. La giornata inaugurale della trentesima edizione del Torino Film Festival si apre dunque con uno dei film più attesi, un titolo che, dopo la presentazione al Festival di Cannes, si temeva potesse finire nell’antro dei tesori celati, poiché ignorati da una distribuzione ottusa. Il dono, per ora, ha graziato il pubblico all’ombra della Mole, fagocitando il buio della sala e suscitando le (prevedibili) reazioni contraddittorie.

Una pellicola che oppone resistenza ai tentativi di analisi critica, in quanto Visione allo stato puro, disseminata da segni e simboli che poco per volta strutturano un narrato che si offre alla totale libertà di interpretazione; una riflessione sul mezzo filmico in se stesso, metacinema sotto mentite spoglie e al tempo stesso opera metavitale, in quanto ciò che vediamo scorrere sullo schermo è la sublimazione dell’esistenza stessa.

Il Sé e i propri doppi, che in questo caso diventano molteplici declinazioni della magnifica ed elfica maschera attoriale di Denis Lavant, icona di Carax, un Monsieur Oscar  il cui lavoro è recitare ruoli, cambiando vesti a bordo di una Limousine bianca guidata dall’affascinante Céline, nome che è ovviamente simbolo. Vediamo Oscar diventare, di volta in volta, zingara, padre di famiglia alle prese con la figlia adolescente, anziano in punto di morte; assistiamo al suo calarsi in una realtà virtuale per una sequenza di sesso mimato, nel quale i corpi sono avvolti da tute in pvc, barriere che impediscono il contatto. Ritorna nei memorabili panni di Monsieur Merde, già visto nel magnifico segmento del film a episodi Tokyo!, in una delle caratterizzazioni più surreali ed emblematiche dell’intera opera. L’essere mostruoso incontra la statuaria modella Kay M (Eva Mendes), in un set fotografico al Père Lachaise, donandoci una scena di suggestione pittorica squisitamente iconoclasta, con un Monsieur Merde completamente nudo che dorme in grembo alla donna/Madonna, novello Gesù col valore aggiunto di un’evidente erezione.

Oscar nel corso del film uccide un uomo, sempre interpretato da Lavant, per poi prenderne le sembianze: Carax gioca con lo spettatore, mettendo in palio una posta sempre più alta. La vita come un susseguirsi di ruoli e maschere, talmente vorticoso e asfissiante da perdere la percezione del proprio vero volto, confondendo se stessi con l’altro, uccidendolo per poi trasformarsi in lui.

L’Amore è rappresentato da Eva Grace/Jean (un’efficace Kylie Minogue), anche lei interprete di ruoli “su misura”: un incontro fugace, con i minuti contati, ed una conclusione tragica.

Holy Motors unisce il poetico al grottesco senza nessuna stonatura, in una sinfonia stilistico/narrativa che rasenta la perfezione. Riflessione sul cinema (evidente nel prologo, in cui Carax stesso si regala un’apparizione), e sull’esistenza mediante una rappresentazione che fa del visivo un’arma splendida e mesmerizzante.

Un’inizio in grande stile dunque, per questa edizione/anniversario del Festival torinese, e una pellicola che vale ogni minuto dei tredici, lunghissimi, anni di attesa. 


Chiara Pani
(araknex@email.it)


Holy Motors
Francia/Germania - 2012
Regia: Leos Carax


domenica 25 novembre 2012

Torino Film Festival XXX Edizione: The Lords Of Salem (2012)






Ha preso il via, da venerdì, la trentesima edizione del Torino Film Festival, che seguirò come inviata per Positifcinema, con extra per altre testate. 

Si inizia in grande stile, con The Lords Of Salem di Rob Zombie, per CineClandestino


http://www.cineclandestino.it/it/altrocinema/2012/the-lords-of-salem.html 




The Lords Of Salem (2012)


Heidi Hawthorne, donna fragile ed ex-tossicodipendente, lavora come dj alla stazione radio di Salem, Massachussets, la cittadina arcinota per il suo passato di condanne stregonesche. Passato che torna sotto forma di Lp, recapitato ad Heidi da parte del misterioso gruppo “The Lords”: il suono inquietante ed ipnotico la trasporterà in un incubo atavico con il quale dovrà fare i conti.



Giunge finalmente sulle italiche sponde, grazie al Torino Film Festival, l’attesissimo “The Lords Of Salem” di Rob Zombie, presentato in anteprima assoluta per il nostro Paese. Opera dalla genesi produttiva travagliata, e già oggetto di pareri controversi ed opposti, che vedono pubblico e critica divisi tra entusiasmi assoluti e accuse di eccessiva attenzione formale a scapito della sostanza.
La pellicola del regista/musicista statunitense (nativo proprio del Massachussets) rappresenta, in realtà, una prova di maturazione e l’ulteriore conferma di uno stile sempre più personale che punta a slegarsi da qualsiasi cliché, film dopo film. Il talento di Zombie, infatti, si ritrova anche nel non essere mai uguale a se stesso, in un percorso stilistico/narrativo che è progressivamente mutato, arricchendosi: si parte dall’esordio con la fantasmagorica blood feast ipercitazionista de La Casa dei Mille Corpi (2003), per poi passare al magnifico e crudo La Casa Del Diavolo (2005), spoglio e impietoso, in netto contrasto con lo splatter barocco del primo film.  Il suo prequel atipico del classico Halloween, Halloween - The Beginning (2007) è rilettura ricostruttiva, appassionata e “altra” rispetto al capolavoro Carpenteriano, opera a sè stante e dotata di vita propria; più debole Halloween II (2009), ma in ogni caso dotato di alcuni momenti che sono chiaro frutto di un talento puro.

Rob Zombie è, in primis, un grande appassionato di cinema orrorifico e quest’amore trapela da ogni inquadratura dei suoi film: le numerosissime citazioni sono sempre omaggi e mai plagi o bieche imitazioni, poiché si rivelano funzionali sia alla messa in scena che al narrato.

The Lords Of Salem rappresenta una svolta nel suo percorso registico, un felicissimo cambio di rotta verso un cinema sempre più caratterizzato in senso personale, e pregno di riferimenti maggiormente diversificati; la trama, volutamente semplice, cela in realtà rimandi più sottili, lasciando allo spettatore la facoltà di coglierli ed interpretarli. La storia di Heidi (una come sempre eccellente Sheri Moon Zombie, anche qui incontrastato corpo-iconico, con iconosclastia in agguato), donna dalla vita incerta e traballante, che si ritrova al centro della nemesi delle Streghe di Salem, non è soltanto un chiarissimo omaggio all’horror satanico anni ’70 (evidente anche nella fotografia sgranata della prima parte del film, ad opera di Brandon Trost) ma è anche simbolo delle due facce del Femminile, lo Stregonesco e il “virginale” che tale non è, poiché Heidi, per quanto sia spaventata dal Male, non è certo priva di macchie. La donna non combatte, non è eroina positiva, e anche in questo caso si ritrova il rovesciamento di un tipico cliché di molti film di genere: la sua debolezza, semplicemente, la trascina.

Il Male affascina, rapisce e porta inesorabilmente a sè, in una vittoria che è anche giustizia per le violenze e le torture subite da chi veniva, arbitrariamente, accusato di stregoneria:non vi è, ovviamente, nessun tipo di giudizio morale, soltanto la Visione, strega ed ammaliatrice per eccellenza.
I riferimenti sono molteplici, da John Carpenter a Mario Bava (impossibile non pensare a La Maschera del Demonio), passando per le suggestioni sataniste di Kenneth Anger, fino a giungere ad alcuni tocchi di Ken Russel e Jodorowsky nei passaggi più visionari, sottolineati anche da splendidi scenari barocchi memori di David LaChapelle. L’immaginario visivo di Zombie viene donato a piccole dosi, alternato a una rappresentazione realistica e a tratti lineare; nei momenti in cui il delirio visivo si scatena, esso è puro e senza freni, viscerale e lisergico come da tempo non si aveva il piacere di vedere sui grandi schermi.

The Lords Of Salem possiede un’anima iconoclasta, sovversiva, blasfema, il che fa tristemente presagire che una distribuzione italiana possa essere impresa assai difficoltosa, o per meglio dire impossibile per la versione integrale dell’opera.
Il film vuole anche essere omaggio alla musica rock anni ‘70, con una colonna sonora sorprendente (i Velvet Underground su tutti), e riferimenti musicali sparsi in ogni dove. Lo score (composto da John 5 e Tom Rowland) è magnificamente quieto, alternando pianoforte e chitarra acustica, mentre l’ipnotico pezzo dei “The Lords”, cupo ed ossessivo, fa da sfondo a una tra le più belle sequenze dell’intera pellicola.

Un’attesa che non delude, una prova ampiamente superata, il segno di una maturità artistica in continua ascesa: se non si perderà lungo il cammino, Rob Zombie è destinato ad entrare, a pieno merito, nell’Olimpo dei Maestri dell’Horror.

Chiara Pani
(araknex@email.it)


The Lords Of Salem
USA/Uk/Canada - 2012
Regia: Rob Zombie