giovedì 21 febbraio 2013

Morituris finalmente in DVD su Amazon France





Colgo l'occasione per segnalarvi che su Amazon.fr è disponibile in cofanetto (dvd + blu ray) Morituris di Raffaele Picchio, film che ho apprezzato molto, caduto nelle ottuse maglie della censura italica, e finora visto da pochi. A prezzo modico, che non fa mai male, e con spedizione rapida. 

http://www.amazon.fr/Morituris-Legions-Blu-ray-Valentina-DAndrea/dp/B00A2HCHOS/ref=sr_1_2?s=dvd&ie=UTF8&qid=1361459561&sr=1-2 


recensito qui sulla Vault per Nocturno.it all'epoca della presentazione al To Horror Film Fest 2011:

http://araknexmovies.blogspot.it/search/label/Morituris 


 

La mia recensione di "Promised Land " (2012) di Gus Van Sant per Positifcinema



pubblicata su Positifcinema:

http://www.positifcinema.it/promised-land-di-gus-van-sant






Promised Land (2012)


Not the Bad Guy




Ripercorrendo la filmografia di Gus Van Sant, dagli esordi nel 1986 col low-budget Mala Noche fino a L’Amore Che Resta (2011), non si può fare a meno di immaginarlo eternamente giovane, immutato ribelle di Hollywood, per quanto abbia indugiato in qualche concessione al box-office (il comunque splendido Will Hunting).  Se si ripensa a quello che è con ogni probabilità il suo capolavoro, Elephant (2003), strozzato urlo di dolore per la strage di Columbine, alla freschezza inventiva delle sue opere migliori, si fatica a credere che il cineasta abbia ormai varcato la soglia dei sessant’anni di età, o meglio, si faticava: Promised Land, distribuito nelle sale italiane in contemporanea alla presentazione nel corso della 63ma Berlinale, ci riporta con i piedi per terra, accompagnati dall’amara constatazione che anche Gus Van Sant è inesorabilmente invecchiato. La pellicola si fonda su premesse allettanti: torna Matt Damon, sia nei conflittuali panni del protagonista Steve Butler che nelle vesti di sceneggiatore, a quattro mani con John Krasinski (suo antagonista nel film, nel ruolo di Dustin Noble) da un soggetto del celebre scrittore Dave Eggers (L’Opera Struggente di un Formidabile Genio). 

La storia di Butler, trentottenne con aspirazioni carrieriste in seguito alla promozione ottenuta presso la Global, multinazionale dal nome-simbolo (tratto ricorrente nel film) che trivella terreni per estrarne gas naturale, mette in gioco una tematica fondamentale ossia  la crisi economica, sfondo dell’intera narrazione, senza però sfruttarne appieno il potenziale e finendo per concentrarsi su aspetti secondari e sostanzialmente retorici. Steve e la collega Sue (magnifica Frances McDormand, per quanto sia ormai quasi inutile sottolinearlo) hanno l’incarico di convincere gli abitanti di una cittadina rurale della Pennsylvania, messa in ginocchio dalla mancanza di risorse, a vendere la propria terra, ricorrendo a false promesse di ricchezza: Steve è cresciuto in una fattoria, in un piccolo centro molto simile a quello in cui devono muoversi e ritiene dunque di conoscere “questa gente”, di potersi agevolemente mescolare a loro nella presunzione della propria superiorità culturale, commettendo l’errore di identificarla con quella intellettuale. Lo sbaglio è palese fin dal suo arrivo, a partire dal cartellino del prezzo dimenticato su una camicia di flanella acquistata per “sembrare uno di loro”, e che proprio uno di loro staccherà al primo sguardo, smascherando subito la goffa intenzione; ciò che non va, ovviamente, si trova più a fondo, nell’animo e nella coscienza del protagonista e, in primis, nella memoria della propria provenienza e delle proprie radici, che entra inevitabilmente in conflitto con un’identità presente tanto posticcia quanto fragile. E’ anche in questo che ritroviamo uno dei passi falsi di Promised Land, nel suo scivolare verso una retorica superficiale e un tantino demagogica, troppo scontata e già vista. 

Per quanto il regista e gli autori dello script si concentrino, legittimamente, sul travaglio interiore di Butler e sulla sua mancanza di autostima (dovuta, in modo fin troppo ovvio, al non credere davvero in ciò che fa), finiscono per arenarsi sui buoni sentimenti e sulla tematica di una ritrovata consapevolezza delle proprie origini, perdendo di vista altri spunti potenzialmente interessanti. Si punta su una rappresentazione che è anche simbolica (caratteristica del cinema di Van Sant), dagli stivali del nonno, elementi chiave in quanto significanti di una figura parentale determinante nella vita di questo “yuppie sbagliato”, fino ai nomi dei personaggi: Butler, ossia maggiordomo, dunque servo di un potere più grande, Dustin Noble, l’ambientalista che darà filo da torcere ai due venditori, dal cognome troppo smaccatamente immacolato per poter convincere e soprattutto la Global, emblema di tutte quelle multinazionali che proprio dalla crisi tentano di trarre il maggior profitto possibile, senza curarsi delle conseguenze. Ingiustamente poco approfondita la figura di Frank Yates (un grande Hal Holbrook), anziano insegnante per passione, in realtà fregiato da prestigiosi titoli accademici: ben lungi dall’essere un bifolco facilmente raggirabile con qualche chiacchiera, uomo la cui profonda dignità rappresenta quella della comunità intera.

Promised Land regala alcuni buoni momenti, tra cui il monologo di Steve sui “Fuck you money”, ossia il denaro come “liberatore definitivo” e alcuni dialoghi arguti, un ottimo cast e il sapiente talento di Van Sant per l’immagine in quanto tale, complice la bellissima fotografia di Linus Sandgren e riprese paesaggistiche di indubbia suggestione. Tuttavia, il film resta irrisolto e complessivamente un po’ monotono nonostante qualche efficace scossone.

La pellicola avrebbe dovuto segnare l’esordio registico di Damon, che rinunciò a causa di tempi troppo stretti e divergenze creative, passando il testimone a Van Sant, il quale probabilmente non è entrato del tutto in sintonia con l’opera: ciò che manca davvero a Promised Land, come del resto al suo protagonista, è proprio una ben definita personalità. Ed è un vuoto che si avverte.  

Chiara Pani
(araknex@email.it)

Promised Land
USA - 2012
Regia: Gus Van Sant

Data di Uscita in Italia: 14 Febbraio 2013
 

lunedì 11 febbraio 2013

Il mio articolo su "Hellraiser" (1987), di Clive Barker, per Horror.it


pubblicato su Horror.it:

http://www.horror.it/a/2013/02/hellraiser-1987/







Hellraiser (1987)


“No, niente lacrime! Non si deve sprecare così la sofferenza”
(Pinhead)



Hellraiser, primo lungometraggio diretto dallo scrittore Clive Barker dopo i corti Salome (1973) e The Forbidden (1978), tratto dal suo racconto The Hellbound Heart (Schiavi dell’Inferno, 1986), rappresenta un elemento atipico nel panorama horror anni ’80: se il personaggio di Pinhead è ormai annoverato tra i “nuovi mostri” del cinema di genere, in special modo in Gran Bretagna (paese d’origine di Barker e patria del film) e negli Stati Uniti, comparendo su magliette e gadgets di ogni tipo, vero è, d’altro canto, che la reale potenza e complessità di questa pellicola, per molti versi superiore allo scritto, non è mai stata compresa appieno dal grande pubblico, in special modo nel nostro Paese.

Troppo adulto per un’audience teenageriale, che è quella a cui, erroneamente, la distribuzione mira quando si parla di genere orrorifico, Hellraiser è stato apprezzato per il suo lato gore e splatter, peraltro non eccessivo, ma è rimasto nel limbo dei film non completamente metabolizzati, poiché la sua stratificazione di significati e riferimenti andava ben oltre il semplice effetto visivo ed è stata accolta soltanto da una nicchia di pubblico, che già conosceva le opere e le tematiche dell’autore o che era comunque più aperta ad una tipologia filmica completamente diversa dai vecchi schemi.

Clive Barker (nato a Liverpool nel 1952, dunque trentaquattrenne all’epoca della pubblicazione della novella che darà vita a Hellraiser) esordisce come scrittore nel 1984 col primo dei celeberrimi Libri di Sangue, antologie di racconti agghiaccianti, che hanno il dono di restare ancorati all’inconscio del lettore, caratteristica che diventerà palese nel successivo romanzo, The Damnation Game (Gioco Dannato, 1984), personalissima rilettura del mito di Faust. Fin da queste prime opere la cifra stilistica che ora definiamo Barkeriana è già intuibile, gettando dunque le solidissime basi di quella che diverrà la sua poetica nella letteratura horror (da non dimenticare, infatti, le incursioni dell’autore in altri generi, il fantasy in primis).

Schiavi dell’Inferno è una narrazione breve (164 pagine) e asciutta che tuttavia sortisce l’effetto di essere efficacemente descrittiva, delineando alla perfezione personaggi e contesti; Barker la rielabora in forma di sceneggiatura per la preparazione delle riprese del film, apportando cambiamenti sia per volere della produzione (ad esempio, nella parte finale: nello scritto, i Cenobiti si comportano in modo equo, mantenendo la promessa e lasciando andare Kirsty, mentre nel film continuano a volerla portare con loro), sia per renderla più funzionale alla forma filmica. Nella pellicola vediamo dei caratteri maggiormente a tutto tondo, privi delle sfumature presenti nel racconto, eccezion fatta per Julia (Clare Higgins), che, contrariamente alla donna bella e vagamente  bamboleggiante di Prigionieri Dell’Inferno, dà al ruolo una qualità austera, crudele, una vera femme fatale schiava di una passione che la renderà mostruosa. La stessa Kirsty (Ashley Laurence) in Hellraiser riveste le tipiche caratteristiche dell’eroina positiva, in contrapposizione a Julia, venendo dunque privata delle ambiguità che la contraddistinguevano nello scritto Barkeriano.

Hellraiser è, come già detto in precedenza, opera complessa e non così immediata come potrebbe apparire. I Cenobiti (dal latino cenòbium, vita in comune) sono, nella realtà, monaci cristiani ortodossi le cui prime comunità risalgono al IV secolo, che vivono secondo una rigida disciplina; per Barker non fu dunque necessario spiegare, almeno in questo primo film, le origini di queste creature, poiché il loro nome disvela già molto: non è azzardata l’ipotesi che l’autore abbia voluto donare ai suoi personaggi una caratteristica sacrale, considerandoli un vero e proprio ordine religioso, in questo caso di natura infera, nel quale l’esplorazione delle sensazioni più estreme viene compiuta al fine di raggiungere uno stato di estasi suprema, che il Cristianesimo definirebbe beatitudine.  Lo stesso personaggio di Pinhead (il memorabile Doug Bradley) , sia nel libro che nel film non è indicato con questo nome: nel racconto, non è nominato, e non è figura di spicco rispetto agli altri Cenobiti, mentre nei titoli di coda di Hellraiser compare come lead cenobite. La denominazione di Pinhead nacque da un soprannome, che fu poi utilizzato nei sequel; Barker lo definì “indegno” e per i fumetti tratti dalle pellicole, pubblicati negli Stati Uniti dalla BOOM! nel 2011, utilizzò l’appellativo che aveva scelto nella prima fase di sceneggiatura: “Priest”, Prete, a sottolineare ulteriormente il carattere ieratico del personaggio.

L’entrata in scena dei Cenobiti, che ha luogo solo nell’ultima mezz’ora di narrato (nonostante compaiano, brevemente, già nell’incipit), è infatti meravigliosamente solenne, sottolineata da cupissimi rintocchi di campane, e appare realmente come qualcosa di sacro e temibile. Qui si ritrova, probabilmente, la differenza più notevole tra libro e opera visiva, ciò che rende la seconda superiore al primo: nel film, li vediamo, in tutta la loro terrificante bellezza. Le poche parole pronunciate da Pinhead sono sufficienti a svelarci la loro natura ambivalente (“demoni per alcuni, angeli per altri”), a raccontarci il loro Mondo, nel quale Piacere e Dolore si fondono fino a diventare una cosa sola.

La sofferenza come estasi suprema è tematica centrale, palese richiamo al sadomasochismo: non a caso, dopo il rifiuto da parte della produzione dell’utilizzo del medesimo titolo del libro, The Hellbound Heart, poiché giudicato un po’ troppo romantico, Barker propose la dicitura, decisamente più forte, di “Sadomasochists from Beyond the Grave” (“I Sadomasochisti dall’Oltretomba”), rifiutata anch’essa per il contenuto sessuale eccessivamente esplicito. Dagli abiti in pelle e pvc dei Supplizianti/Cenobiti fino alle torture con ganci e catene, ogni cosa ha un sapore di sesso e dolore, piacere e patimento, tipica delle pratiche bdsm. Il rapporto tra Julia e Frank (Sean Chapman, viscidamente fascinoso) è proprio di tale natura, che vede lui in quanto elemento dominante e la donna dipendente in tutto e per tutto dalla sua volontà; è relazione ambigua, basata sull’attrazione sessuale e nata proprio alla vigilia delle nozze fra lei e Larry (Andrew Robinson), padre di Kirsty e vedovo della prima moglie; è una passione feroce e divorante per Julia, che non vede Frank da anni ma non ha mai smesso di pensarlo.

Un passo indietro, a questo punto, è d’obbligo per arrivare alle origini di ciò che rappresenta il cuore di Hellraiser: la scatola di Lemarchand o Configurazione del Lamento, oggetto-puzzle tramite il quale, una volta trovata l’esatta combinazione, si spalancano le porte della dimensione parallela (definita Inferno nel primo film, Labirinto nel secondo) abitata dai Cenobiti. La riuscita nella risoluzione dell’enigma è legata all’intensità del desiderio di venirne a capo, particolare che nella trasposizione filmica viene tradito poiché anche Kirsty, quasi casualmente, la schiude.

Hellraiser inizia in un luogo non precisato del Nord Africa, in cui vediamo Frank acquistare l’oggetto da un mercante asiatico; nell’inquadratura successiva, è nel solaio di una casa disabitata (che si rivelerà poi essere la dimora di Larry e Julia): nel momento in cui la puzzle box si muove, dei ganci affondano nella sua carne. Frank, dunque, resta sempre in quel luogo, seppur in una realtà altra: farà ritorno, completamente divorato dalle torture dei Supplizianti, grazie a qualche goccia di sangue di Larry, feritosi accidentalmente. Per tornare in forze necessita di altro plasma, e Julia inizia ad uccidere: dalla passione si passa quindi ad una forma di Amore deviato da parte della donna, nel quale lei è soltanto un tramite, usato da Frank per ottenere uno scopo ben preciso.
Ciò che il film non svela, a differenza del libro, è la motivazione che spinge Frank ad impossessarsi della Configurazione del Lamento: l’uomo ha sperimentato ogni lussuria terrena al punto di esserne saturo, e non può resistere a ciò che la scatola promette, ossia piaceri inimmaginabili. E’ questo dunque, che lo muove verso la dimensione Cenobita, che lo trascina al cospetto dell’idea di massimo godimento come tutt’uno con la più atroce delle sofferenze fisiche; essi stessi sono a loro volta perennemente suppliziati: i loro volti e corpi sfigurati (Chatterer, Butterball), oppure flagellati da spilli o altri strumenti di deliziosa tortura (Pinhead, la Cenobita Femminile).

Il concetto di sadomasochismo non è per tutti i palati, soprattutto se inserito nel contesto di un horror che la produzione e la distribuzione avrebbero voluto indirizzare ad un pubblico giovane: Hellraiser è, per contro, un film profondamente adulto, non a caso scritto da una persona che aveva superato i trent’anni, e che da lì a poco, all’inizio degli anni ’90, avrebbe dichiarato pubblicamente la propria omosessualità, in un’epoca in cui l’ ”outing” non era ancora una moda bensì un atto coraggioso in una società moralista e bigotta. I preconcetti superficiali e pruriginosi si sono sprecati, ad esempio nell’affiancare la sua “diversità” (?) sessuale con la filosofia sadomaso presente nel film. Il significato , con tutta probabilità e come già accennato, è di natura più complessa e vicino a terreni teologico-religiosi:il concetto di sofferenza come strada verso l’estasi mistica è infatti presente non solo in culti (primitivi e non) di ogni parte del mondo, ma è palese nel Cristianesimo stesso, nelle figure dei martiri, e nelle auto-flagellazioni ancora oggi praticate da alcuni fedeli in cruente cerimonie di devozione estrema.  

Il tema della diversità, che sarà preponderante in Cabal (Nightbreed)  (1990) è comunque presente, non soltanto nelle figure dei Supplizianti, sommi sacerdoti del Dolore, dunque eletti, differenti poiché superiori, ma è evidente in Frank, individuo corrotto e lascivo, nauseato da ciò che la vita gli offre, desideroso di superare gli stretti confini di ciò che gli sta attorno. E’ ingordigia edonistica ciò che lo spinge a risolvere l’enigma della Configurazione del Lamento, brama che vedrà una punizione nelle torture che dovrà subire: c’è dunque qualcosa di un novello Prometeo in Frank, uomo che ha voluto spingersi troppo oltre per poi ritrovarsi a patire i supplizi inferti dai Cenobiti, qui strani e sinistri Dei.

La pellicola è stata realizzata con un budget relativamente ridotto (un milione di dollari), fattore che non ha influito sulla qualità degli effetti speciali (ad opera di Cliff Wallace e, non accreditati, Dave Chagouri e lo stesso Barker in veste di animatori) se non nelle scene finali, nel punto della lavorazione in cui i fondi erano esauriti e il regista e Chagouri hanno dovuto improvvisarsi nell’animazione, nel giro di un weekend e con abbondante alcool in circolo.
La regia è abile, tenendo conto che Hellraiser è stato girato quasi interamente all’interno della casa, il che ha spinto Barker a dover essere creativo con le scarse risorse a sua disposizione: spesso c’era spazio per una sola macchina da presa, e questo spiega perché molte inquadrature siano riprese da un’unica angolazione; inoltre, il movimento in verticale era sovente l’unico possibile, ecco dunque le zoomate ed il punto di vista dall’alto rispetto ai personaggi.  

Com’è noto, lo score del film fu originariamente composto dalla band industrial dei Coil, e Barker era entusiasta del risultato. La produzione purtroppo lo rifiutò, optando per una musica più tradizionale composta da Christopher Young. Il lavoro dei Coil fu pubblicato come The Unreleased Themes For Hellraiser e a tutt’oggi è una rarità; le tracce create dalla band sono incredibilmente suggestive, rarefatte, dal sapore esoterico, in poche parole perfette per l’opera. Ascoltandole, chiudendo gli occhi, non si può far altro che immaginare il lento incedere dei Cenobiti ed essere percorsi da un brivido. Tuttavia, lo score di Young, per quanto non all’altezza dei magnifici suoni dei Coil, riesce ad essere efficace: orchestrale, parte in sordina per poi esplodere in un magniloquente e sinistro crescendo, donando alle apparizioni delle creature una qualità magica ulteriormente accentuata.     

Un aneddoto curioso riguarda la frase finale del film, pronunciata da un Frank (che “indossa” la pelle di Larry) dilaniato dai Supplizianti, mentre si lecca le labbra lascivo, davanti agli occhi di Kirsty: l’attore Andrew Robinson (Larry), convinse  Barker a cambiarla rispetto alla sceneggiatura, che prevedeva un secco “Fuck You”, sostituendola con il più evocativo “Jesus wept” (“Gesù versò delle lacrime”). Nel doppiaggio italiano l’affermazione viene completamente stravolta, tramutandosi in “Sei riuscita a liberarti di me” : non è difficile immaginare i motivi dietro a quest’ennesimo obbrobrio dell’italico doppiare, sicuramente il nome di Gesù non era gradito in quel contesto, ed è inutile dire che risulta invece assolutamente coerente con uno dei sottotesti principali del narrato.

Hellraiser è, al pari della scatola di Lemarchand, oggetto che si schiude solo a chi vuole comprenderlo davvero, film enigmatico ed incompreso così come lo sarà Cabal: d’altronde, anche il mondo di squisiti piaceri e tormenti mostrato dai Cenobiti è privilegio di pochi, dunque ad essi ci abbandoniamo, paralizzati in una smorfia di sofferente godimento.    

Chiara Pani
(araknex@email.it)

Hellraiser
Uk - 1987
Regia: Clive Barker