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mercoledì 23 maggio 2012

La mia recensione di "The Raven" (2012) per Horror.it


pubblicata su Horror.it:










The Raven (2012)


“Il 7 Ottobre 1849 Edgar Allan Poe fu trovato in fin di vita su una panchina di un parco a Baltimora, Maryland. I suoi ultimi giorni restano un mistero”


Così, senza troppa fantasia, si apre “The Raven”, film del 2012, diretto da quel James McTeigue che , sette anni orsono, ci aveva regalato “V per Vendetta”, controverso gioiellino filmico a cavallo tra box office, retorica e talento puro.
“The Raven” parte dall’ intenzione di essere omaggio al grande Edgar Allan, costruendo una fantasiosa ipotesi sulle cause della sua morte, che restano, a tutt’ oggi, sconosciute. Il prodotto finale non può considerarsi riuscito: nonostante alcuni buoni momenti,  la fotografia impeccabile (a opera di Danny Ruhlmann), l’ ambientazione che non fa una grinza e una regia abile sebbene a tratti molto autocompiaciuta, il plot è un volo pindarico troppo sfilacciato per poter risultare credibile.

A Baltimora, un killer commette i suoi delitti a imitazione di quelli delle tales di Poe e sfida apertamente lo scrittore non solo a dargli la caccia, ma a comunicare con lui tramite dei racconti che pubblicherà sul “Patriot”, il giornale per il quale il genio del terrore, in piena crisi creativa e dedito all’ alcool, è ridotto a redigere recensioni. La posta in gioco è molto alta: il folle tiene in ostaggio Emily Hamilton (l’ incantevole Alice Eve), la donna che Edgar ama, ricambiato e, com’è ovvio che sia, la ucciderà se lo scrittore non si dimostrerà sufficientemente abile nel ritrovarla.
Dunque, un copycat dei delitti creati dalla mente di Poe, che per di più, lo sfida: una sorta di “CSI” in epoca ottocentesca, con assurdi accenni di torture porn stile “Saw” in un guazzabuglio che lascia francamente perplessi. 

La tematica del serial killer d’ epoca è ormai troppo sfruttata, il film vorrebbe rimandare a punte altissime come “From Hell” ma non ne possiede un decimo della forza; l’ insieme, è troppo addomesticato e manca della giusta ferocia, fatta eccezione per alcuni passaggi efficaci. John Cusack, al quale è affidato il non facile ruolo di Poe, risulta fuori parte, nel passare dal monocorde al sopra le righe nel giro di pochi minuti, e non possiede la giusta espressività. Fece assai meglio, seppur solo come sporadica presenza, il Ben Chaplin / spettro di Poe nel pessimo “Twixt” di Francis Ford Coppola, prestando al personaggio un volto e un’ attorialità assai più adatti.

Lo scrittore di Boston è qui ritratto al culmine della crisi: la raffigurazione che ne risulta è contaminata da troppi stereotipi, l’ intenzionale omaggio non è sufficientemente sincero e appassionato bensì riflette la luce ipocrita della solita operazione da botteghino. Non basta infarcire il film di citazioni dai suoi racconti per riuscire a spacciarlo come un accorato homage : l’ impressione che ne deriva è quella di un “Poe for dummies”, una ricostruzione di fantasia impacchettata in modo attraente ma del tutto priva d’ anima.  
Poe collabora con la polizia, in special modo con l’ ispettore Fields (Luke Evans): la caccia al killer non riesce ad avvincere, in una narrazione standardizzata, priva di forti scossoni. Tutti i personaggi sono poco più che abbozzati: il padre di Emily, il ricco Capitano Hamilton (il buon Brendan Gleeson),  il quale dapprima osteggia a più non posso la relazione, per poi diventare improvvisamente solidale con Poe durante le ricerche della figlia, così, di punto in bianco; inoltre, il personaggio di Fields è troppo a tutto tondo, sebbene presentasse spunti che potevano essere sfruttati in modo migliore.

Il rapporto a dir poco conflittuale tra Edgar Allan e il caporedattore Maddux (Kevin McNally, noto per la serie di film “Pirati Dei Caraibi”), è reso come una serie di bisticci da osteria e poco altro. Il modo in cui “gli altri” vedono Poe e si relazionano a lui è rappresentato al massimo livello di superficialità, senza la minima intenzione di approfondimento: per un film che vuole dare una personale visione degli ultimi giorni di vita di un personaggio come questo, è una pecca non trascurabile.

Inguardabili i titoli di coda, sulle note della pur bellissima “Burn My Shadow” di U.N.K.L.E (con la voce di Ian Atsbury dei The Cult), che però nel contesto stride come le unghie sulla lavagna, e ancor di più la grafica iperdigitalizzata da film di supereroi Marvel.
Credits agghiaccianti a parte, il segmento finale, per quanto non eccelso, resta forse il momento migliore della pellicola, con due o tre sequenze degne di nota. Per il resto, tra “Il Pozzo e Il Pendolo”, molto “Premature Burial” ma soprattutto una raffigurazione dello scrittore degna di un bignami di terza mano, non c’è molto da salvare.

Chiara Pani
(araknex@email.it)

The Raven
Usa/Ungheria/Spagna - 2012
Regia: James McTeigue





Exclusive Interview with Roger Corman for Horror.it


published on Horror.it:

http://www.horror.it/a/2012/05/roger-corman-exclusive-interview/


 
Roger Corman, that is the King of low-budget. A real icon, for all the movie lovers, the man who launched stars such as Jack Nicholson and directors like Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante, James Cameron, all of them coming from his factory. His Edgar Allan Poe adaptations are unforgettable, as well as Vincent Price, who was the unquestioned spotlight chaser in those flicks.  But Corman made a lot more things besides all that: in his very long career, he did not only direct an impressive number of movies but he still is a very prolific producer.
His most interesting titles are also the less known: The Trip, The Wild AngelsGas-s-s-s, a lot of non-horror movies which explore widest territories. Us, of Horror.it crew we had the pleasure and honour to interview him during his recent trip to Turin, for the retrospective “Senza Un Attimo di Tregua” ( literally: "Without A Moment Of  Rest") , which the Cinema MuseumMuseo Del Cinema (which we thank for the precious collaboration, in particular Veronica Geraci) dedicated to him. The interview' s questions are written by Andrea Lanza, in collaboration with Chiara Pani and Corrado Artale. The interview was made by Chiara Pani.



INTERVIEW WITH ROGER CORMAN




We all know the part of your work which is related to gothic and horror, as the renowned series of adaptations of Poe, but we are always happy to remember the more realistic side of your filmaking, we can even say “pulp” in some movies. We think about “The Wild Angels” with Peter Fonda before Easy Rider or the war movie “The Secret Invasion”, without forgetting that visionary and peculiar flick which was “The Trip”. Which is the cinematographic dimension you feel more comfortable with, the one where you feel more creatively free, among all the ones you crossed?

I love the process of filmmaking, and I like to work in as many media styles as possible, so I’ve done realistic, contemporary pictures such like “The Intruder” which is about racial integration in the South and then, during the 60s I was part of the counterculture and I did “The Wild Angels” and ”The Trip” then, at the same time, I liked horror films also I’ve done science fiction as well so I’m very in between all of these and I’ ve come back to horror and science fiction after all the others.

In 1990 you shot a very interesting title, “Frankenstein Unbound”, which came after a long break from movie direction and which was partially shot in Italy. Would you like to tell us about this particular location choice and the project in general?

The picture was shot entirely in Italy, I was shooting near Lago di Como and the interiors in Milan. Actually, it was a picture I didn’t particularly want to do; Universal had done some sort of audience survey and came up with this worthy idea that a picture called “Roger Corman’ s Frankenstein” would have been successful and they asked me if I would do it and I said “No, there have been so many Frankenstein pictures that this would be just another Frankenstein picture”. Every six months or so they would call me and they offered more money. Finally the offer was so high that I said  “I can try an original way to do a Frankenstein picture, I would do it”, and “Frankenstein Unbound” is a novel by an English writer (Brian Aldiss, the novel was issued in 1973) that I thought was original so I chose that.

In 1970 you produced “The Dunwich Horror”, a Lovecraft adaptation just like “Tha Haunted Palace” which you otherwise directed. Tell us about your personal approach to Lovecraft, who is usually quite hard to handle in movies, and which were the main differences compared to adapting Edgar Allan Poe.

I like the world of Lovecraft, I like the world of Poe, for me, I’m more comfortable with the world of Poe because the characters are a little bit more complex than Lovecraft, and I can work on both levels of conscious and unconscious mind. Considering the Poe attitude in the artistic work of Poe, I’ d always start with Poe. I liked Lovecraft, because he was not quite  as direct as Poe but he was very good as a script reference.

That is curious, it’s good to hear that because a lot of directors find difficult to work with Lovecraft

Lovecraft was more pop-commercial in 1920s, and sometimes is a little difficult to work with his characters and his plots because they are not so complex, everybody likes to work with a more complicated concept.

Your production career is extremely various and crossed the most diffent genres, from “women in prison” to giant monsters: tell us about the differences between Roger Corman as a producer and as a director, if there are any.

There are more similarities than differences, because to me the most important aspect, the most important element in a film is the original idea. So when I work as a producer or when I work as a director, in each case it starts with the original idea of mine, an idea that I have or it might be a short story that I like and I buy that, I then work with the writer on developments, and then I bring in the director on the final draft of the screenplay because I keep the franchise work with the writer on the final draft. Then the difference is I start turning away and  as a producer I prefer not to be on the set during shooting, I’ d be on the set the first day to say “Hello” to everybody  and if everything goes well the first day, I never come back. I feel the path point which the director and the production manager should take.

Why this choice of going only the first day of shooting?

The first picture I produced and didn’t direct, the crew was coming to me with their questions and I said “you should not be coming to me you should be coming to the director”  and they were so used to come to me that I really felt I should leave the set, as if they kept coming to me I should have tell them “no, not here, I’m not the director”  because the director was the person they should have gone to.

Now a question we really like: among all your works, there is one we personally consider one of the most powerful and gloomy adaptations from Shakespeare, Tower Of London (one of our personal faves) , shot in the 60s, which makes it a courageous and strong project. Would you like to tell us about this movie, with the particular choice of black and white, after having shot in colour, and if you consider it part of your gothic cycle or something aside from it?

I think that is on the outskirts on the Poe cycle, it has a resemblance to the Poe’s pictures  but is not within them exactly. The reason why it was done in black and white was I had done the colour pictures for American International (*AIP), Tower Of London was done for United Artists, they wanted black and white because they used it in low-budget films and that’s one of the reasons why I prefer to work on low-budget  pictures that I finance myself and what to run is my decision.

Now a very usual question: tell us something about you Poe adaptations and, in particular, about your work with Richard Matheson.

The Poe adaptations were really based upon his fears. Poe worked both on the conscious mind and the unconscious mind; I think this concept came into the surface in the 19th century, a ten years later, settling Poe at the same concept to psychiatry and that’s really well worth in every way to Poe. Dick Matheson, I hired him simply because of his very good writings, he wrote most of the Poe pictures and I think he did a wonderful job. In the genre, I think he’s one of the best, different and deepest writers.

In fact he adapted some of the Poe tales also in weird way somehow, also reinventing them,  making “melting-pots” as in “Tomb Of Ligeia”, assembling different Poe tales.

Yes. One of the problems in working with the Poe tales is that they’ re very short.  The short story “The Pit and The Pendulum”  is only a few papers long; the entire story is in the room with the pit and the pendulum and what we had to do was to create what to place before that so that we integrate with an end-up in the pit and the pendulum.

We can notice a strong irony in your Poe adaptations, compared to the writer’s tone which was more serious. Both you and Matheson had this gift of adding this touch of irony, tell us something about it if you like.

The irony was this: that once I had done the first few Poe films, I felt that I had to change a little bit because I was starting to repeat myself, I didn’t want the pictures to all look the same. So, they became a little bit ironic, and the we have  have “The Raven”, which actually is a fairly funny picture (“oh oh oh” and laughs)  and “The Tomb Of Ligeia”  became a love story and an horror film. So I used this as a way to vary the Poe stories.

In the 60s, so at the same time of your gothic movies, in Italy Mario Bava was shooting “Black Sunday” with one of “your” actresses, Barbara Steele. What do you think of the italian low budget horror directors of that era, like Bava and Margheriti or also Fulci, who claimed to use “The Corman Formula” as his method of work?

I know Mario Bava’s works the best of the three. I think he should be remembered more, I think he did brilliant works. “Black Sunday”, in particular, was the first one I saw and frankly, I hired Barbara Steele because I thought she was so good in “Black Sunday”.

Tell us something about your forthcoming projects

I have just finished a picture in China, is called  “Ghost Of The Imperial Palace”. I saw a picture in the set of a classical Chinese palace on the Chinese television national network and I thought it was one of the best sets I had ever seen. So I wrote out a plot by myself, which I often do, then I had the screenwriter to come in and write the story so everything started with the fact that a set was there so I could make a very low budget film that would look like a big budget film. The interesting thing was this how our cultures differ and why is so difficult for us sometimes to understand the Chinese: I’ve found the Chinese producer, I’ve made a deal with him to co-produce  and then we submitted the script to the censure. I didn’t know why the censure, he didn’t mention the censure.  And the censure turned it down on the basis that the ghosts are a primitive superstition and China is a modern country and it could not allow a picture of a ghost. To be honest my first thought was “we waste a lot of time here” but my second thought was “we don’t understand their culture”. Now, what my co-producer did, we waited a while, he took the same script, he changed the title from “Ghost Of The Imperial Palace” to “Mystery Of The Imperial Palace”  in the sense to pass the censure  so the picture would be known in China as “Mystery Of The Imperial Palace” (laughs) and in the rest of the world would be “Ghost”.

martedì 22 maggio 2012

L' intervista esclusiva a Roger Corman per Horror.it



pubblicata su Horror.it:



Available in english version here

In occasione della sua visita a Torino, per la retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema, noi di Horror.it abbiamo avuto l' onore e il piacere di intervistare il grande Roger Corman

Il credito va a Andrea K. Lanza, di Horror.it, per aver fatto in modo che l' intervista avesse luogo e per aver ideato le domande, redatte con la collaborazione della sottoscritta e dell' amico Corrado Artale.

Ringraziamo Il Museo Del Cinema per la gentile collaborazione, nella persona di Veronica Geraci, Ufficio Stampa.

L' intervista è stata eseguita da me medesima.



Buona lettura :)


INTERVISTA A ROGER CORMAN




Roger Corman, ossia il Re del low-budget. Una vera icona, per tutti gli amanti del cinema, l’ uomo che lanciò nomi del calibro di Jack Nicholson, e registi come Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante, James Cameron, tutti provenienti dalla sua factory. I suoi adattamenti da Edgar Allan Poe restano indimenticabili, così come Vincent Price, che ne diventò mattatore indiscusso.  Ma Corman ha fatto molto di più: nella sua lunghissima carriera, non solo ha diretto un numero impressionante di pellicole ma è tuttora produttore assai prolifico.
I suoi titoli più interessanti sono anche tra i meno conosciuti: Il Serpente di Fuoco, I Selvaggi, Gas-s-s-s, molti film che esulano dal genere horror e spaziano nei territori più disparati.

Noi di Horror.it abbiamo avuto l’ onore e il piacere di intervistarlo durante la sua recente visita a Torino, in occasione della retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema (che ringraziamo per la preziosa collaborazione, nella persona di Veronica Geraci).

Le domande sono opera di Andrea Lanza, con la collaborazione di Chiara Pani e Corrado Artale. L’ intervista è stata eseguita da Chiara Pani.

Conosciamo tutti la parte del suo lavoro relativa al gotico e all’ horror, come il celeberrimo “ciclo Poe”, ma ricordiamo sempre con piacere la parte più realistica, oseremmo dire pulp in certi film. Pensiamo a “The Wild Angels” con un Peter Fonda pre Easy Raider o al bellico “The Secret Invasion”, senza dimenticare quel film visionario e particolare quale fu “The Trip”. Qual’ è la dimensione cinematografica nella quale si sente più a suo agio, più libero creativamente?

Amo l’ intero processo del girare un film e mi piace lavorare con quanti più stili possibile, perciò ho realizzato film realistici, su situazioni contemporanee come “The Intruder” ( “L’ Odio Esplode A Dallas” - 1962), che parla dell’ integrazione razziale nel Sud degli Stati Uniti; inoltre, negli anni ’60, facevo parte della controcultura e realizzai “The Wild Angels” (“I Selvaggi” – 1966) e “The Trip” (“Il Serpente Di Fuoco” – 1967) ma, al tempo stesso, mi piacevano gli horror e ho anche girato film di fantascienza. Dunque, mi divido molto tra tutti questi generi e sono tornato prevalentemente all’ horror e al sci-fi dopo aver sperimentato tipologie filmiche diverse.

Nel 1990 gira un film molto interessante, Frankenstein Unbound, che è arrivato dopo una lunga pausa dalla regia e che è stato parzialmente girato in Italia. Ci parlerebbe di questa particolare scelta delle location e del progetto in generale?

Il film è stato interamente girato in Italia, vicino al Lago di Como, mentre le riprese in interni sono state realizzate a Milano. In realtà, era una pellicola che non avevo intenzione di girare; la Universal aveva fatto una sorta di sondaggio e ne risultò quest’ idea che un film chiamato “Roger Corman’s Frankenstein” avrebbe riscontrato successo. Quindi, mi chiesero se volessi farlo e dissi: “No, ci sono già stati talmente tanti film su Frankenstein che sarebbe solo un altro film su Frankenstein”. Iniziarono a chiamarmi all’ incirca ogni sei mesi offrendomi sempre più denaro. Alla fine, l’ offerta fu così alta che dissi: “Posso tentare un approccio originale nel realizzare un film su Frankenstein, accetto”, e “Frankenstein Unbound” è un romanzo di un autore inglese (n.d.r  Brian Aldiss, il romanzo è del 1973) che ho pensato fosse originale dunque scelsi quello.

Nel 1970 ha prodotto “The Dunwich Horror”, un adattamento da Lovecraft così come il precedente “The Haunted Palace” (La Città Dei Mostri) che invece ha diretto. Ci parli del suo approccio a Lovecraft, solitamente difficile da trattare al cinema, e quali sono state le principali differenze rispetto all’ adattare Edgar Allan Poe.

Mi piace il mondo di Lovecraft e mi piace quello di Poe, ma personalmente mi sento più a mio agio con la visione di Poe poiché i personaggi sono un po’ più complessi rispetto a quelli di Lovecraft, dunque posso lavorare su entrambi i livelli mentali di coscienza ed inconscio. Considerando l’ attitudine di Poe rispetto al proprio lavoro, sceglierei sempre lui. Mi piaceva Lovecraft, poichè non era così diretto come Poe ma era assai buono come base per una sceneggiatura.

E’ curioso, e fa piacere sentirlo dire, poichè molti registi trovano difficoltoso lavorare su Lovecraft.

Lovecraft era più popolare e commerciale negli anni ’20 e a volte è un po’ difficoltoso lavorare con i suoi personaggi e le sue storie poiché non sono molto complesse, tutti i registi preferiscono avere a che fare con concetti più complicati.

La sua carriera di produttore è estremamente varia e ha toccato i generi più disparati, dal “women in prison” ai film con i mostroni giganti: ci dica qualcosa sulle differenze tra il Roger Corman produttore rispetto al regista, se ce ne sono.

Ci sono più analogie che differenze in realtà, poiche per me l’ aspetto più importante, l’ elemento basilare in un film è l’ idea originale. Quindi, sia che io lavori in veste di produttore piuttosto che in quella di regista, in entrambi i casi tutto ha inizio da una mia idea originale, che può essere un qualcosa che viene direttamente da me o magari un racconto breve che mi è piaciuto e che scelgo. Come passo successivo, lavoro con lo sceneggiatore sugli sviluppi, dopodichè coinvolgo il regista nella fase definitiva di stesura dello script, poiché mantengo un lavoro di stretta collaborazione tra regista e sceneggiatore nelle fasi finali di scrittura. La differenza fondamentale, quando produco, è che a questo punto mi allontano e preferisco non essere sul set durante le riprese, mi presento il primo giorno per salutare tutti e se tutto procede bene durante la prima giornata, non torno. Riesco così a percepire la direzione che il regista e il manager di produzione stanno prendendo.

Perchè questa scelta di presenziare solo durante la prima giornata di riprese?

Durante le riprese della prima pellicola che produssi e della quale non curai la regia, i componenti della crew venivano sempre da me per i loro dubbi e le loro domande e io rispondevo loro “non dovreste venire da me, dovreste andare dal regista”, ma erano così abituati a rivolgersi a me che sentii che dovevo lasciare il set, poiché se avessero continuato avrei dovuto dire loro “no, non in questa occasione, qui non sono io il regista”, poiché ovviamente chi dirigeva il film era la persona più appropriata a cui rivolgersi.

Una domanda che ci sta particolarmente a cuore: tra tutti i suoi lavori, ne ritroviamo uno che personalmente consideriamo una delle più potenti e cupe trasposizioni da Shakesperare, “Tower Of London”, girato negli anni 60, il che lo rende un progetto forte e coraggioso. Ci parli di questo film, della particolare scelta del bianco e nero, e se lo considera parte del suo ciclo gotico o piuttosto un oggetto a parte

Credo che si trovi ai confini del ciclo Poe, ha delle somiglianze con gli adattamenti da Poe ma non è esattamente compreso in essi. La ragione per cui venne girato in bianco e nero è dovuta al fatto che, nonostante io avessi ovviamente già girato a colori per l’American International (*AIP), “La Torre Di Londra” fu realizzato per la United Artists e loro vollero il bianco e nero poiché lo impiegavano nei loro film low-budget. Questo è uno dei motivi per cui preferisco lavorare su film a basso costo che finanzio in modo indipendente e sui quali ho pieno potere decisionale.

Ora, una domanda molto comune: il ciclo Poe e, in particolare, il suo rapporto con Richard Matheson

Gli adattamenti da Poe erano davvero basati sulle sue paure. Poe lavorava sia sulla mente inconscia che sul livello cosciente; penso che questi concetti siano venuti alla luce nel XIX secolo, una decina d’ anni dopo, collocando Poe alla pari di un concetto come la psichiatria, e ciò gli rende pienamente giustizia. Ho scelto Dick Matheson semplicemente per I suoi ottimi scritti, è l’ autore della maggior parte dei miei adattamenti di Poe e penso che abbia fatto un ottimo lavoro. Penso sia uno dei migliori, più particolari e profondi scrittori nel genere.

Infatti, Matheson ha adattato alcuni dei racconti di Poe anche in modo talvolta bizzarro, reinventandoli, creando dei “melting-pots”, come ad esempio ne “La Tomba Di Ligeia”, nel quale si mettono insieme più racconti di Poe.

Sì. Uno dei problemi nell’ adattare i racconti di Poe è che sono molto corti. Il racconto breve “Il Pozzo e Il Pendolo” occupa lo spazio di poche pagine; l’ intera narrazione si svolge nella stanza col pozzo e col pendolo e quel che abbiamo dovuto fare fu di creare ciò che andava collocato prima, in modo da poterlo integrare col finale nella stanza del racconto di Poe. 


Si può notare una forte ironia nei suoi adattamenti di Poe, se li paragoniamo agli scritti che avevano un tono comunque più cupo. Sia lei che Matheson avevate il dono di aggiungere un tocco di ironia, ci dica qualcosa in proposito

L’ ironia stava in questo: dopo che ebbi terminato di dirigere i primi film da Poe, sentii che dovevo cambiare un po’ poiché stavo iniziando a ripetermi, non volevo che tutte le pellicole si assomigliassero tra loro. Dunque, divennero un po’ ironiche, così arrivò “The Raven” (I Maghi Del Terrore – 1963), che era un film piuttosto divertente (“oh oh oh” – e ride), e “The Tomb Of Ligeia” (La Tomba Di Ligeia – 1964) divenne sia una storia d’ amore che un horror movie. Ho usato l’ ironia come mezzo per variare le trasposizioni da Poe.

Negli anni 60, dunque in contemporanea ai suoi film gotici, in Italia Mario Bava girava “Black Sunday” con una delle “sue” attrici, Barbara Steele. Cosa ne pensa dei registi italiani low budget di quell’ epoca, come Bava, Margheriti o anche Fulci, che dichiarava di usare la “Formula Corman” come suo metodo di lavoro?

Dei tre, quelli che conosco meglio sono i lavori di Mario Bava. Penso debba essere ricordato di più, faceva film davvero eccellenti. “Black Sunday” (La Maschera Del Demonio – 1960), in particolare, fu il suo primo film che guardai e, sinceramente, scelsi Barbara Steele per lavorare con me proprio perché mi piacque molto in “Black Sunday”.

I suoi prossimi progetti cosa ci riserveranno?

Ho appena terminato un film in Cina, si chiama “Ghost Of The Imperial Palace” (Il Fantasma Del Palazzo Imperiale). Vidi un film, sulla tv di stato Cinese, ambientato in un loro palazzo tradizionale e pensai che era uno dei set più belli che avessi mai visto. 
Dunque, scrissi una prima bozza di storia, cosa che faccio spesso, dopodichè chiamai lo sceneggiatore per stendere il soggetto vero e proprio; tutto iniziò dal fatto che c’ era già un set quindi potevo realizzare un film low budget che sembrasse un film ad alto costo. Il punto interessante è quanto le nostre culture siano differenti e quanto sia difficile per noi, a volte, comprendere la cultura di quel Paese: trovai il produttore cinese, firmai per la co-produzione, dopodichè lo script venne sottoposto alla commissione censura.  Non ne sapevo il motivo, lui non aveva mai parlato di una commissione censura, la quale bocciò il film poichè “i fantasmi sono una superstizione primitiva mentre la Cina è un Paese moderno e non può permettere che venga realizzato un film sugli spettri”. A essere sincero, il mio primo pensiero fu: “stiamo perdendo un sacco di tempo qui” ma subito dopo pensai: “non comprendiamo la loro cultura”. Come ci siamo mossi, io e il mio co-produttore: abbiamo aspettato un po’ di tempo, lui ha preso la medesima sceneggiatura e ha cambiato il titolo da “Ghost Of The Imperial Palace” a “Mystery Of The Imperial Palace” (Il Mistero Del Palazzo Imperiale) in modo da superare il visto censura. Quindi, il film sarà noto in Cina come “Mystery Of The Imperial Palace” (ride) e nel resto del mondo sarà “Ghost”.

Chiara Pani
(araknex@email.it)