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sabato 22 settembre 2012

Il mio articolo su "La Casa" (The Evil Dead) (1981) e "Within The Woods" (1978) per Horror.it



pubblicato su Horror.it:





La Casa (1981)

Within The Woods (corto) (1978)

Quando Sam Raimi e la sua troupe iniziarono le riprese di “The Evil Dead” (La Casa), nel 1979, non potevano immaginare cosa sarebbe diventato questo piccolo film, un low budget realizzato tra innumerevoli difficoltà nell’arco di tre mesi (e un anno e mezzo di post-produzione). La pellicola, originariamente in 16mm e successivamente stampata in 35mm per poter essere proiettata nelle sale, ha assunto lo status di cult assoluto e indiscutibile; il seme iniziale del suo successo può essere ritrovato nella penna di Stephen King, che ne scrisse un’entusiastica recensione per la rivista “The Twilight Zone”, dando così il via a un passaparola irrefrenabile che convinse la New Line Cinema a distribuirlo. King lo definì  “l’horror più ferocemente originale dell’anno” : contando che era il 1982, nel corso del quale uscirono titoli come “La Cosa” e “Poltergeist”, l’affermazione non poteva di certo essere presa alla leggera.

“La Casa” era il lungometraggio d’esordio per Raimi, che aveva già al suo attivo un buon numero di cortometraggi girati in Super 8, commercializzati a livello locale con buoni rientri economici. Tra questi, particolare attenzione merita “Within The Woods” (1978) (da alcuni ribattezzato “Evil Dead 0”) che contiene, in embrione, il canovaccio di trama e le idee che saranno alla base della pellicola successiva.
La squadra è sempre la medesima: anche qui troviamo Robert G. Tapert tra i produttori (insieme a Raimi e Campbell) e Bruce Campbell come protagonista (oltre a Ellen Sandweiss, che in “The Evil Dead” interpreterà Cheryl); il sodalizio Raimi/Tapert/Campbell, oltre ad essere il frutto di una grande amicizia, proseguirà negli anni, fino a oggi. E’ una componente fondamentale del successo delle opere di Raimi, una piccola “factory” affiatata che non si è disgregata col tempo.

Il talento del regista è già ampiamente individuabile, nelle tecniche di ripresa, e nelle trovate originali. Il cortometraggio, seppur condito dell’ironia di cui sarà pregno anche “The Evil Dead” (e capitoli successivi) riesce genuinamente a spaventare, usando il suono come componente principale dell’elemento-terrore. Il plot narra di un gruppo di amici che decide di trascorrere il weekend in una casa sperduta e uno di loro (inutile dirlo, Bruce Campbell), accidentalmente, sconsacra un cimitero indiano, trasformandosi in zombie e uccidendo i suoi compagni.

Il tormentone “Join Us” è già presente e le linee narrative sono la preparazione a ciò che si vedrà nel lungometraggio; il cimitero indiano è stato sostituito dal Necronomicon, in qualità di “fattore scatenante”, e il ruolo di Campbell è rovesciato: qui mostro, in “The Evil Dead” resta l’unico sopravvissuto umano. In questo piccolo video, si può già notare come il talento e le idee riescano a supplire all’assoluta mancanza di mezzi: il corto ha, ovviamente, i suoi limiti, ma resta un’ottima prova dell’abilità tecnica di Raimi.

Intercorre un anno, tra quest’opera e l’inizio delle riprese de “La Casa”: il budget di partenza era di 375.000 dollari, e la troupe era composta da 37 persone; con l’arrivo del freddo le condizioni di lavoro diventarono sempre più disagevoli, poiché lo chalet abbandonato nel quale venne girato il film (nella location di Mornstown, nel Tennessee) non aveva riscaldamento né acqua corrente, e i soldi terminarono. La maggioranza del cast artistico e tecnico abbandonò la lavorazione verso il periodo natalizio, a sei settimane dal primo ciak; Campbell ipotecò una proprietà di famiglia per permettere a Raimi di terminare il lavoro e di riversarlo in 35mm. Vennero utilizzati alcuni “doubles”, ossia sostituti degli attori (in particolar modo nelle scene di possessione demoniaca, nelle quali i volti erano celati dal trucco), definiti “fake shemps”, tra cui vi era anche l’allora quindicenne Ted Raimi, che in una sequenza vestì i panni di Cheryl demone nella botola.
Grazie al primo direttore della fotografia, che in seguito lasciò il set, ottennero a noleggio dall’Università, a prezzo scontato, due telecamere professionali, che altrimenti non si sarebbero mai potuti permettere. I make up fx, a opera di Tom Sullivan, considerata la povertà di mezzi, sono ottimi: la scena finale che vede i demoni disgregarsi richiese tre mesi di lavoro, con l’impiego di tecniche miste, tra cui l’animazione a passo uno.
Un film quindi pioneristico in senso stretto, girato in condizioni estreme, da un gruppo di amici mossi da una fortissima passione: ecco cos’è, in sintesi, “The Evil Dead”.

Il canovaccio narrativo è assai semplice, classico, ormai universalmente conosciuto: il tranquillo weekend di una combriccola di ragazzi si trasforma in incubo, in seguito al ritrovamento del Necronomicon, ossia “Il Libro Dei Morti”, contenente le formule in grado di evocare i demoni. La registrazione su nastro della voce di uno studioso, in cui egli recita le misteriose parole, scatena l’orrore: i demoni iniziano a impossessarsi dei personaggi e Ash/Campbell dovrà lottare contro di loro.

Bruce Campbell in quanto icona horror prende vita proprio in questo film, diventando successivamente mattatore incontrastato nei due, magnifici, sequel: “La Casa 2” (1987) e “L’Armata Delle Tenebre” (Army Of Darkness) (1992), che lo consacrano come interprete carismatico e fortemente ironico.
L’ironia, infatti, è parte integrante della pellicola, che unisce abilmente terrore e momenti di divertimento, battute e spaventi; una miscela non facile, ma qui perfettamente riuscita. Ash è l’anti-eroe per eccellenza, di certo non impavido, a tratti goffo ma comunque in grado di sconfiggere le forze maligne che si scatenano nella casa. E, soprattutto, nel bosco. Il titolo italiano ha spostato l’attenzione soltanto sul luogo abitativo: in realtà, ciò che lo circonda è determinante tanto nella narrazione quanto nella messa in scena.

Le sequenze in soggettiva, che rappresentano il punto di vista dell’entità maligna nel suo spostarsi velocemente tra gli alberi, senza venire mai mostrata, sono diventate  marchio di fabbrica della tecnica registica di Raimi: con il termine “Shaky POV Cam” (coniato dallo stesso Raimi, dove “POV” sta per “point of view”, punto di vista), si intende proprio questo uso particolare della macchina da presa. L’effetto si ottenne montando l’apparecchio sopra un’asse sorretta da due persone da ambo i lati, che si muovevano correndo. Un’idea semplice ma geniale, che rende l’idea della presenza in modo inquietante, innovativo e straordinariamente efficace: non solo non la si  manifesta agli occhi dello spettatore ma si fa in modo che egli acquisisca il suo punto di vista.
La scena finale è emblematica: Ash è rimasto solo, è l’alba, l’incubo pare finito; vediamo, nuovamente, lo sguardo demoniaco in soggettiva entrare rapidissimo nella casa, uscirne, e arrivargli alle spalle. Una prova di maestria registica, realizzata con una mdp montata su un’asse di legno, due persone che corrono, e altre ad aprire le porte. Una bella lezione, per i blockbuster a budget altissimi e tasso zero di creatività.

Raimi reinventa l’uso della ripresa in prima persona non solo con la “Shaky POV Cam”, ma anche donandoci i punti di vista dei demoni, con inquadrature inconsuete, bizzarre, spesso geniali.
Nel bosco ha luogo un altro momento assai significativo del film, ossia l’aggressione sessuale da parte di un albero ai danni di Cheryl (Ellen Sandweiss); l’idea iniziale non comprendeva l’aspetto carnale, che fu aggiunto nel corso delle riprese (la scena fu girata in piccoli segmenti nell’arco di molti mesi). Tecnicamente è assolutamente ben riuscita, credibile e realistica; risulta disturbante, senza dubbio inaspettata ma suscitò critiche talvolta feroci: Raimi venne accusato di misoginia e in seguito si dichiarò pentito di aver scelto di inserire questa sequenza, che venne censurata in molti Paesi.    

Tornando sull’argomento make up ed effetti, come si è già detto il lavoro può essere considerato ottimo, sebbene dai risultati discontinui: in alcuni momenti, ad esempio, l’uso di manichini è evidente, in altri il trucco è impressionante. La scena della prima possessione, quella di Cheryl, nella quale ella è alla finestra e si volta di colpo, mostrando il volto deturpato, provoca un sobbalzo. Le lenti utilizzate all’epoca per rendere l’occhio monocolore erano assai diverse da quelle odierne: fastidiose da indossare, potevano essere tenute per soli 15 minuti, durante i quali si tentava di girare il più possibile.
Eccellente l’idea alla base della trasformazione di Linda (Betsy Baker), la ragazza di Ash: ella diviene un essere diabolico bamboleggiante, che ride in continuazione, scostandosi così dagli altri personaggi e creando l’ennesimo tormentone uditivo.

Il suono, infatti, è componente centrale del film, così come lo era in “Within The Woods”; a partire dal magnifico score, composto da Joe Lo Duca, minimale, assolutamente inquietante, percussionistico, che dona al film gran parte della sua aura disturbante. Ogni elemento sonoro in “The Evil Dead” è fondamentale e studiato nei dettagli: dai tormentoni vocali (“Join Us”, la risata di linda, la nenia che canticchia “we’re gonna get you” ), all’ossessivo sbattere del dondolo contro la parete della casa, a inizio film, passando per il continuo percuotere di Cheryl/demone contro il coperchio della botola, fino ad arrivare alle sinistre voci demoniache, poco più che borbottii indistinti, eppure da pelle d’oca. Impossibile non citare la registrazione su nastro ritrovata nella casa, con la voce dello studioso che prima illustra il potere del Necronomicon, recitando poi le sinistre formule: la paura si insinua sia nello spettatore che nei protagonisti, in contemporanea, facendo così scattare il meccanismo d’immedesimazione che incrementa il quoziente di terrore.
La componente audio, più di ogni altra, possiede l’abilità di evocare paure inconsce, di annunciare l’orrore senza mostrarlo, rendendolo così assai più minaccioso.

Il film ha un alto livello di tensione, la suspense è dosata in modo egregio, anche grazie a un buon montaggio, altro punto forte del film; gli spaventi sono spesso improvvisi e imprevisti, i momenti di fiato sospeso riescono a essere incisivi ed efficaci.
“The Evil Dead” si conclude, come si diceva, con la memorabile sequenza in soggettiva e con l’urlo di Ash:a seguire, sui titoli di coda, una musica charleston di gusto comico, a simboleggiare la doppia faccia della pellicola, il coté horror e quello comedy.
Alla sua uscita, il film ebbe non pochi problemi con la censura: nel Regno Unito, fu uno dei primi titoli a essere inserito nella famigerata lista dei “Video Nasties”, un lungo elenco di pellicole ritirate dal mercato per mano della commissione censoria inglese nei primi anni ’80: è stato ridistribuito senza tagli soltanto nel 2001.

Il Paese che maggiormente si accanì contro “La Casa” fu la Germania: venne infatti bloccato per oltre 10 anni, sia nei circuiti delle sale che in quelli home-video, diventando così oggetto di culto nel mercato nero, nel quale proliferavano le copie pirata. Nel 1992 fu rilasciata una prima versione del film, pesantemente tagliata, e soltanto nel 2001, dunque come nel Regno Unito, si potè finalmente godere di un dvd uncut.

L’Italia, invece, decise di approfittare del successo di “The Evil Dead”, producendone dei sequel “apocrifi”, che, ovviamente, nulla avevano a che fare con l’opera originaria ma ne mantennero il titolo nostrano: “La Casa 3”(1988) di Umberto Lenzi, “La Casa 4” (1988) di Fabrizio Laurenti, e “La Casa 5” (1990) di Claudio Fragasso.

Nato per passione, sopravvissuto a mille ostacoli realizzativi, “The Evil Dead” è diventato culto oltre ogni aspettativa, portando così alla luce l’incredibile talento di Raimi e consacrando Bruce Campbell come nuova icona del cinema horror. Il tutto con due macchine da presa a nolo in una baita senza acqua corrente. Potere al low budget. 

Chiara Pani
(araknex@email.it)


La Casa (The Evil Dead)
USA - 1981
Regia: Sam Raimi




martedì 29 novembre 2011

domenica 22 maggio 2011

Necromentia (2009)

Ci si interroga spesso,o almeno viene spontaneo farlo,sulla sottile differenza tra citare e copiare in toto,tra omaggio e plagio,tra “riferimento a” e furto bello e buono.
Trovandomi di fronte a questo Necromentia,film del 2009 firmato Pearry Reginald Teo e presentato al Festival di Cannes nell’anno in questione,fin dai primi fotogrammi ho visto davanti a me,gigante e intermittente come l’insegna di un motel americano,la parola “copiato”.
Visivamente parlando,nel calderone c’è un po’ di tutto:un pizzico di Ringu,un bel po’ di Saw (in alcune inquadrature e anche nella misteriosa figura di Mr Skinny,che resta comunque una delle cose migliori del film),una massiccia dose di Floria Sigismondi (nella seppur bella fotografia,nei colori:i primi minuti del film sembrano presi di peso dai suoi videoclip girati per Manson e Bowie),qualche spruzzatina di Jean-Pierre Jeunet e,last but not least,Clive Barker (il mostro pseudo-cenobita il quale,ahinoi,non ha un quarto del carisma dei personaggi Barkeriani).Senza contare una spolverata di Silent Hill,che pare non guasti mai.
“Saw incontra Hellraiser,ma è meglio di entrambi”:così recita,sulla locandina,l’estratto da una recensione dell’ LA Weekly.No comment.Il silenzio è d’oro,in certe situazioni.
Lo spunto da cui parte la sceneggiatura è nonostante tutto interessante:tre personaggi,Morbius (Layton Matthews),Hagen (Santiago Craig) e Travis (Chad Grimes),uniti dal desiderio di riportare in vita qualcuno che han perso.Mr Skinny,il guardiano degli inferi,è il fil rouge che li unisce,nella loro volontaria discesa all’inferno (altro tema che avrebbe potuto essere sviluppato in maniera più efficace).
Inferi resi in modo interessante e non banale,un tunnel sotterraneo,il personaggio di Mr. Skinny con maschera antigas ha un suo fascino sinistro e con lui il sordomuto Morbius,biondo reminder di un giovane David Bowie,mosso da un cieco desiderio di vendetta.In veste di Demone,è fascinoso e mostra l’eredità delle tradizioni orientali,nella sua crudele leggerezza (il regista è nato a Singapore).
Buona e visionaria la scena del grottesco personaggio-suino che si materializza dallo schermo televisivo:anch’essa rimanda a troppe cose,ma nel complesso funziona. Fortunatamente,non manca qualche sanguigna scena gore/splatter,niente di memorabile,ma meglio che nulla.
Il plot narrativo è volutamente frammentato e vorrebbe chiudere il cerchio nel finale,vorrebbe ma non riesce,poiché il film sembra essere stato troncato quasi per errore.
L’idea dell’incidersi sul corpo i simboli di una tavola Oujia per finire all’inferno di propria volontà è,se presa isolatamente,anche originale,ma viene inserita nel contesto in maniera banale;nella visione complessiva,risulta come il solito minestrone esoterico/satanico che abbiamo visto troppe volte.
Il montaggio videoclipparo di Damian Drago,la fotografia sì bella ma troppo patinata e perfettina,l’aria terribilmente modaiola e fighetta che impregna il film,tolgono il 90% del potenziale a una storia che,se presentata in modo meno ambizioso e più onesto,avrebbe anche potuto funzionare. Alla resa dei conti,il film lascia poco o nulla,a parte alcuni spunti interessanti e ovviamente non ben sviluppati.Il tutto scivola via come l’ennesimo prodotto trendy che avrebbe avuto esiti ben superiori,se si fosse prestata meno attenzione all’estetica,alla sovrabbondanza di “citazioni” e ci si fosse concentrati di più sullo sviluppo dei contenuti. Vecchia lezione che molti registi non impareranno mai,purtroppo.

Chiara Pani (Araknex Nexus)
araknex@email.it




USA – 2009

Regia:Pearry Reginald Teo