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lunedì 9 luglio 2012

La mia analisi di "Profondo Rosso" (1975) per Positifcinema

pubblicata su Positifcinema:



all' interno della monografia su Dario Argento, che a partire da oggi si svilupperà nel corso delle prossime settimane:

http://www.positifcinema.it/sguardi/dario-argento




Profondo Rosso (1975)


Profunda Mater


In Profondo Rosso, probabilmente il capolavoro Argentiano per eccellenza, sono racchiusi gran parte dei tòpoi ricorrenti nella “poetica del terrore” del regista romano: l’ infanzia come culla del trauma che sta alla radice della pulsione omicida (e, con essa,  l’importanza dei legami parentali dell’ assassino), la memoria, l’indagine individuale che non è solo ricerca della verità ma anche della propria, perduta identità, il concetto di non-luogo che si lega strettamente a quello del proprio io smarrito. Simboli precisi, cifre stilistiche inconfondibili che hanno reso il cinema di Argento oggetto unico e dai molteplici strati di lettura.

Più di ogni altro, l’ elemento del Femminile domina la sua filmografia: assassine, madri folli, streghe, oppure virginali eroine, le donne in Argento sono il sangue che scorre nelle complesse venature della sua arte, un matriarcato che affonda le proprie radici nel buio dell’ inconscio collettivo, altro territorio assai caro alla sua opera.
Le figure femminili in Profondo Rosso non sono soltanto predominanti ma possono essere considerate l’ embrione di ciò che vedrà la luce nel successivo Suspiria: ognuna di loro è legata in un certo qual modo al Magico/Stregonesco, rendendole così, seppur ancora in forma metaforica e legata al reale, prime rappresentazioni di quelle Madri detentrici del Terrore nel già citato Suspiria, in Inferno, e ne La Terza Madre. Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum appartengono completamente al sovrannaturale, ambito nel quale il regista si sposterà proprio da Suspiria in avanti, e sono state ispirate da un segmento del Suspiria De Profundis di Thomas De Quincey, nel quale rappresentano i Tre Dolori.

In Profondo Rosso, dunque, il Femminile può essere visto come preludio della Mater Dolorosa e Strega: il personaggio di Marta (Clara Calamai), madre di Carlo (presunto colpevole nel tipico doppio finale Argentiano, in realtà la vera assassina) incarna alla perfezione l’ archetipo; ella è, innanzitutto, genitrice, seppur folle e morbosa, amata dal figlio al punto da autoaccusarsi dei delitti da lei commessi. Marta è la chiave del trauma di Carlo, e assume tratti stregoneschi nella sua capacità di essere dovunque, di entrare in ogni luogo senza mai essere vista se non di sfuggita, presenza minacciosa e quasi onnipotente. E’ sofferente nel suo pianto sul finale, per la morte del figlio, nella dolorosa pazzia che la spinge a uccidere.

Se le figure di Helga Ulmann e Amanda Righetti hanno attinenze con l’ occulto più evidenti ma al tempo stesso scontate e sicuramente meno affascinanti, è in Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) che possiamo ritrovare un personaggio magico in senso quasi fiabesco, una sorta di strega buona e ammaliatrice, una fata/elfo sensuale in modo inconsueto, che seduce Marc con armi variegate e atipiche, che vanno dall’ indipendenza alla più profonda insicurezza. Gianna è anche spirito guida, lume del protagonista nella sua incessante ricerca, lo espone al rischio mettendolo in prima pagina per poi ricoprire la funzione di figura protettrice.

Questo Femminile Magico si lega strettamente a Torino, nella quale è stata girata gran parte della pellicola ma a cui, nel narrato, ci si riferisce come a Roma (Madre/Lupa): ancora l’identità smarrita, in questo caso quella del luogo/non-luogo. Torino è punto focale di forze magiche ed è città che porta in sè un potente simbolo del Femminile, ossia la Chiesa della Gran Madre, simile a un tempio pagano, dall’ architettura uterina e costruita a ridosso di un fiume, dunque in prossimità dell’ elemento Femmineo per eccellenza. Un Femminile che trova specularità (e non a caso lo specchio è elemento cardine nel film) in siti che la narrazione priva della loro identità nominale ma non di quella effettiva, pregna di una carica simbolica eccezionalmente forte.

Profondo Rosso dunque, come gestazione dello stregonesco matriarcato che ritroveremo nei film successivi: qui calato nel reale, e con funzione di simbolo, è magnifico e terrificante presagio dello scatenarsi delle Dolorose Madri. 
  
Chiara Pani
(araknex@email.it)

Profondo Rosso
Italia - 1975
Regia: Dario Argento



giovedì 15 settembre 2011

Aggiunta Pagina: Dissolvenza In Rosso

Non mancate di guardare la nuova pagina Dissolvenza In Rosso,dedicata al bellissimo clip-tributo argentiano ad opera della BDProduzioni e VIDEOCLIPROAD

giovedì 19 maggio 2011

Masters of Horror 2 – Torino Film Festival 18/11/2006


Un'esperienza nel complesso positiva questo atteso ritorno della serie Masters Of Horror,tredici film da un'ora ciascuno realizzati dai principali registi del genere per la rete via cavo americana Showtime,di cui il Torino Film Festival anche quest'anno ci ha mostrato un antipasto composto da sei pellicole.
Il confronto con le opere dello scorso anno sorge spontaneo e forse è d'obbligo,almeno nell'evidenziare innanzitutto una maggior cura nella realizzazione visiva (probabilmente il budget è aumentato,visto che si è aggiunta una terza casa produttrice),un complessivo "indurimento" delle tematiche,ma,al tempo stesso,un forte limite,ossia l'assenza di un film che realmente incuta spavento:i film presentati fanno a volte sorridere,alcuni fanno indubbiamente pensare,a modo loro entusiasmano ma della paura che poteva suscitare un "Jenifer",il parto argentiano della scorsa edizione,purtroppo neanche l'ombra,almeno nei sei film presentati a Torino.
Impossibile non notare con forte rammarico l'assenza di Takashi Miike tra i registi chiamati all'appello,omissione a cui tuttavia si era preparati,visto il destino controverso del suo film della scorsa edizione (Imprint è stato infatti l'unico a non venire proiettato dalla rete,in quanto troppo "estremo",cosa che in un progetto il cui punto di forza è l'assenza di censura non può che lasciare l'amaro in bocca).
Arriviamo al dunque e parliamo dei film,premettendo però che i ritmi piuttosto sincopati che caratterizzano queste maratone molte volte non permettono di apprezzarli e valutarli in maniera completa e obbiettiva,poiché si arriva all'ultima proiezione con una resistenza quasi stoica e indubbiamente con la metà della lucidità inziale.

Il primo ad essere presentato nella giornata di ieri è stato "Valerie on the Stairs",di Mick Garris,tratto,come la maggior parte delle opere della serie,da una short story (in questo caso di Clive Barker);il paragone con l'opera di Garris dello scorso anno (lo strano e per molti versi debole "Chocolate") vede indubbiamente il film di questa edizione come nettamente superiore:un horror a suo modo "classico",impreziosito dalla presenza di Christopher Lloyd che solleva decisamente la pellicola,i cui punti di forza sono i dialoghi intelligenti e spassosi e l'ambientazione insolita (uno scalcinato ostello per scrittori teoricamente alle prime armi,in realtà falliti e delusi).
La parola scritta e un'atmosfera di frustrazione e fallimento sono quindi le protagoniste di questo film,tutto sommato godibile pur se la tematica centrale (lo scritto in quanto evocatore di energia negativa fino a dar vita a ciò che racconta) non brilla per originalità ma è comunque compensata da una messa in scena arguta,a tratti un po' scontata ma nel complesso comunque interessante.

Il secondo film è "Sounds Like…" di Brad Anderson,già artefice dei bellissimi "L'Uomo Senza Sonno" e "Session 9":oggetto strano e probabilmente da rivedere più volte,sottile nel suo concetto di Paura,estremamente ben realizzato,originale nel suo porre il suono al centro della narrazione,suono come ossessione e follia,follia come dolore mai sopito.L'impronta è evidentemente quella della serie "Twilight Zone",sia nella tematica (un addetto al controllo qualità di un call center comincia a sentire tutti i rumori amplificati all'estremo,quasi il contraltare dell'episodio "A Little Peace And Quiet" della stagione 1985/1986 della famosissima serie tv) sia in un'aperta citazione (l'indirizzo del personaggio è Maple Street,scenario di uno degli episodi della prima classica stagione in bianco e nero);una pellicola che puà non piacere alla prima visione ma che piano piano conquista,nel suo svolgersi gradualmente sempre più subdolo e crudele.
Arriviamo ora al nostro Dario Argento,che lo scorso anno ci aveva francamente terrorizzati e sconvolti con il controverso "Jenifer" e che quest'anno cambia decisamente registro regalandoci un'opera dalla tematica potenzialmente infervorante,in cui cacciatori e pellicciai fanno la tragica fine a cui sono quotidianamente e da sempre destinati gli animali da pelliccia;tematica che però è simbolo di un più ampio discorso sull'avidità umana,in tutte le sue forme e ovviamente degenerazioni.Convincenti come sempre le musiche di Claudio Simonetti,bella la messa in scena esageratamente splatter ma proprio per questo grottesca e fumettistica,e,dulcis in fundo,un Meat Loaf viscido come non mai nel ruolo di un pellicciaio ottuso che fa ovviamente la fine che si merita.
Può far sorridere ma fa comunque pensare.
Ed eccoci a quella che è stata probabilmente la perla di questi sei film (ruolo che lo scorso anno era a mio parere toccato allo splendido "Cigarette Burns" di Carpenter),ossia "Family" di John Landis il quale,rispetto alla passata edizione in cui con "Deer Woman" era sconfinato nel demenziale,ci regala un autentico gioiello di ironia e un chiarissimo omaggio a Psycho,ovviamente in salsa landisiana.
Partendo dalla splendida fotografia,dall'ambientazione allucinata e allucinante (il classico sobborgo americano apparentemento super-perfetto,zuccheroso,fintissimo e dunque angosciante già di per se),passando per il protagonista,un'apparentemente paciosissimo cittadino di mezza età con la foto di Bush in bella vista sul caminetto,interpretato da Geroge Wendt,che i teledipendenti degli anni 80 ricorderanno come il memorabile "Noooorm" della sit-com "Cin Cin",fino a quella che a mio parere è davvero la ciliegina su questa già molto invitante torta,ossia una colonna sonora gospel usata come pochissimi altri avrebbero saputo fare.
Il tutto condito da uno splendido finale a sorpresa,degna chiusa di un'opera che si eleva decisamente al di sopra delle altre.

Si prosegue con "Pro-Life" di Carpenter,film dal discorso di fondo molto interessante e corrosivo (l'accanimento che sfocia in follia di un anti-abortista che crede di essere guidato da Dio nel suo fanatismo senza senso),con a mio parere alcuni punti deboli (la presenza del Mostro) ma compensati da momenti di autentica genialità,che solo i veri Maestri sanno regalarci.

Arriviamo a un'altro piccolo gioiello,"Screwfly Solution" di Joe Dante,anch'egli lo scorso anno osannatissimo con lo splendido "Homecoming",zombie movie anti-Bush a grado 1000 di ironia.
La tematica è decisamente originale,interessante e,come sempre in Dante,ricca di spunti di riflessione sulla situazione sociale in cui nostro malgrado siamo costretti a muoverci:un misterioso virus apparentemente di origine animale (o,per meglio dire,una modificazione genetica originariamente operata sulle cosiddette "mosche assassine",ossia le screwflies del titolo) si diffonde improvvisamente tra gli uomini,spingendoli ad atti di insensata violenza (e conseguente sterminio) contro tutti gli esseri di sesso femminile che capitano loro a tiro.
La messa in scena è come sempre ironica e intelligente,lo stesso vale per i dialoghi,e in questo caso la Paura aleggia minacciosa,non come terrore puro ma come riflessione e angoscia su ciò che,per quanto sembri incredibile,purtroppo potrebbe accadere,visto che il mondo reale ci insegna che all'assurdo non c'è mai fine e confine.
Bilancio quindi positivo anche per questa seconda tornata dei Masters,con film magari non perfetti e ovviamente non tutti ai massimi livelli ma,nell'evidente penuria di idee che ammorba il cinema odierno,l'horror in primis,restano comunque un regalo irrinunciabile per per gli appassionati e lasciano ben sperare nel futuro di un genere che apparentemente ha già detto tutto ma che probabilmente ha ancora molto da dire,sempre che ovviamente lo si voglia ascoltare.