pubblicato su Nocturno.it:
David Fincher
Il cinema di David Fincher ha spesso cambiato pelle nel corso degli anni, spaziando nei generi e nelle soluzioni stilistiche, reinventandosi ed evolvendosi ma rimanendo sempre fedele a se stesso, alla propria identità. E quella dell’ identità è una delle tematiche centrali non solo del suo cinema ma anche del suo essere cineasta: Fincher si appropria completamente di ogni testo che porta sullo schermo, lo rende suo, infondendovi il proprio essere. Il regista statunitense ha sempre lavorato su sceneggiature firmate da altri, che ha reso proprie effettuandone una sorta di seconda scrittura tramite la sua, personalissima, visione. La scelta dei testi non è mai stata casuale, ha sempre seguito la sua personale poetica: piuttosto che adattarsi agli script, ha sempre fatto in modo che essi si adattassero a lui e ai discorsi fondamentali della sua cinematografia.
Troviamo così tematiche ricorrenti in film, in apparenza, molto diversi tra loro: a cominciare dagli universi a maggioranza maschile, nei quali il rapporto uomo/uomo è in molti casi conflittuale ( per poi evolversi, come per Mills/Somerset in Seven ), vedendo spesso un dominante e un dominato scambiarsi vicendevolmente i propri ruoli nel corso del racconto ( The Social Network, Zodiac, nella correlazione Graysmith/Avery, e ovviamente, in modo più complesso, Fight Club ) ; la già citata identità, uno dei perni del suo discorso cinematografico: dal film d’ esordio Alien 3, soffermandosi su Seven, con un killer dal nome John Doe in una città anonima, nella quale l’ apatia e l’ indifferenza (altre tematiche basilari) tentano di soffocare ogni traccia d’ umanità. Fight Club ne è il manifesto, con la ricerca del proprio io che diventa ossessione: dalle molteplici, finte identità assunte nei gruppi di auto-aiuto fino all’ incarnazione di ciò che si vorrebbe essere in un doppio dalla personalità debordante, e un’ identità collettiva, il Progetto Mayhem, che è prigionia travestita da libertà.
Lo scavare verso le proprie profondità passa attraverso un’ ossessionarsi (Zodiac), che è consunzione di sè e del proprio corpo, autodistruzione come metodo costruttivo che porta allo stravolgimento di una vita ordinaria: in apparenza rovina, in realtà rinascita.
La paura, in Fincher: di se stessi, e soprattutto degli altri. I suoi personaggi sono soli, isolati. La Lisbeth di Millennium aggredisce perché teme di essere ferita, allontana il prossimo ma si avvicina ad esso attraverso il suo lavoro: indagare sugli altri è il suo modo di conoscerli, più a fondo di chiunque altro, senza che lei debba lasciarsi conoscere da loro.
Gli elementi visivi sono fondamentali: la fotografia (negli ultimi due film ritroviamo Jeff Cronenweth, già mago dell’ immagine in Fight Club), fortemente connotata, che passa da toni seppiati e intimisti a colori gelidi, vero termometro degli umori narrativi; le trovate registiche innovative, come il particolare uso della soggettiva, abilissime, talvolta geniali. Le musiche: per anni affidate al grande Howard Shore, nelle ultime due pellicole godono del felice sodalizio con Trent Reznor e Atticus Ross.
Fincher ha spesso lavorato su script tratti da testi letterari: Fight Club, Zodiac, Il Curioso Caso di Benjamin Button, The Social Network e il recentissimo e splendido Millennium – Uomini Che Odiano Le Donne. Non semplici trasposizioni ma reinterpretazioni dello scritto in chiave Fincheriana, riuscendo, talvolta, nella difficile impresa di migliorarlo attraverso le immagini.
Il suo discorso sul romanzo di Stieg Larsson è uno scavare più a fondo, un’ indagine su un testo che parla, esso stesso, dell’ indagare alla ricerca della verità. Il film è l’ ennesimo mutamento di pelle, ritroviamo uno stile più lineare a rappresentare una narrazione complessa, stratificata e dal meccanismo perfetto.
Nove film nell’ arco di vent’ anni esatti, nove capitoli di una poetica che è mutevole nella forma ma non nella propria e prepotentemente unica identità.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Gran bell'articolo!
RispondiEliminaGrazie mille Francesca :)
Eliminaecco un regista interessantissimo che mi piacerebbe approfondire meglio, di Fincher amo soprattutto, il suo coraggio di affrontare la pellicola senza preoccuparsi di risultare irritante, un esempio concreto lo si può trovare in Fight Club, pellicola per molti discutibile, ma per me molto profonda, girata benissimo e recitata da due attori in stato di grazia, cosa diversa con Panic Room, dove c'è lo stesso conflitto tra uomini, per altro di una banda di ladri, dove Whitaker è il ladro onesto che vuole i soldi e basta, e l'altro, ora non ricordo il nome dell'attore è quello che vuole approfittare della situazione, bell'articolo brava :)
RispondiEliminaora ho ricordato XD L'altro attore si chiama Jared Leto XDDDDD
Eliminagrazie mille! ^^ è vero, Fincher non teme; il bello di Fight Club è che è uno di quei film che o si ama o non lo si tollera. Quando lo vidi al cinema mi irrtò molto, alla seconda visione bang, mi piacque tantissimo (la stessa cosa mi accadde con Lost Highwat dell' amato Lynch). Tra l' altro Jared Leto è presente anche in Fight Club, è il tipo biondo platino :)
Elimina:)
RispondiEliminapurtroppo per motivi di spazio non ho potuto citare nè Panic Room nè molte altre cose, avevo un limite di 4000 battute
RispondiEliminasi, i suoi film sono molto belli, si anche per me Lost Highway è stato il colpo di grazia, alla prima visione l'ho trovato strano, poi l'ho amato :) per quanto riguarda Fincher non c'è niente da dire, è un autore interessante, mi piace il suo sodalizio con Brad Pitt, quando lavorano insieme creano un alchimia speciale ^^
RispondiEliminavero :) trovo che Fincher sia comunque particlarmente abile nel saper "usare" gli attori. Con lui, rendono davvero al meglio. Lo noterai nell' ultimo film, Millennium, che esce oggi. Daniel Craig e Rooney Mara. Rendono moltissimo.
RispondiEliminaPitt ha lavorato tre volte con Fincher e in tre ruoli molto diversi: Seven, Fight Club, Bnejamin Button. Negli ultimi due ha lavorato tantissimo sul corpo di Pitt. Sono curiosa di vedere se ci sarà una quarta volta ma spero di si.