mercoledì 7 dicembre 2011

29 ° Torino Film Festival:Twixt (2011)

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Twixt (2011)

Solo una parola può descrivere la sensazione che si prova dopo aver visto l’ ultimo film del grande Francis Ford Coppola, per il quale ovviamente non sono necessarie presentazioni, o ritrite lodi riguardo ai capolavori che ci ha regalato in passato: delusione, cocente delusione.
I recenti  lavori del regista italo-americano non sono stati esattamente delle punte di grande cinema, a partire dall’ esile “Jack” (1996) e passando per “Un’ altra giovinezza” (2007): anche i più grandi possono perdere smalto, nel corso degli anni, anche chi ha concepito un’ opera come “Apocalypse Now”, ovviamente può sbagliare. 

Tra le sue primissime opere troviamo un film come “Dementia 13” (1963), un horror che già mostrava i lampi di quel genio che sarebbe esploso qualche anno più tardi. Il suo “Bram Stoker’s Dracula” (1992), film amatissimo da chi scrive, esce dai confini del genere per espandersi in un capolavoro visionario, magniloquente, barocco, immenso.
Era dunque lecito nutrire qualche aspettativa nei confronti di questo “Twixt”, che viene presentato come thriller orrorifico ma che ha ben poco di entrambi. 

Presentato in anteprima italiana alla 29° edizione del Torino Film Festival, e preceduto da voci sinistre riguardo alla qualità del film, una volta in sala si stenta a credere che ciò che si ha davanti sia davvero opera di Coppola, visti i molteplici difetti che lo affliggono.

Si narra la storia di Hall Baltimore (un Val Kilmer non solo assai imbolsito ma anche sottotono a livello di recitazione), scrittore horror in declino (felice la battuta del film in cui lo si definisce “Lo Stephen King dei poveri”), che ha subito la perdita della figlia ed è diventato un po’ troppo intimo col whisky. Baltimore è in crisi anche con la moglie Denise, interpretata da Joanne Whalley, nella vita ex-moglie di Kilmer. Lo scrittore si mette in viaggio per promuovere il suo ultimo e poco ispirato libro, capitando così a Swan Valley, sorta di cittadina fantasma sulla quale troneggia un gotico campanile con sette orologi. Si imbatte nello sceriffo Bobby LaGrange (il grande Bruce Dern qui relegato ad un ruolo troppo sopra le righe e, a dirla tutta, a tratti fastidioso), appassionato d’ horror e scrittore dilettante, che gli narra della tragedia che colpì quei luoghi negli anni ’50, una strage di bambini che ha reso tristemente famosa la piccola città. A rendere la vita difficile all’ anziano sceriffo, c’è un gruppo di ragazzini pseudo-dark, che sembrano usciti dai peggiori video di Mtv, e capitanati da Flamingo (Alden Ehrenereich), personaggio che vorrebbe essere divertente parodia dei vampiretti stile Twilight ma che finisce per scadere irrimediabilmente nel ridicolo.

Il film ha un ampio cotè onirico, in cui vediamo il sogno di Hall, durante il quale incontra la misteriosa V. (una convincente Elle Fanning, sorellina della più celebre Dakota), rivede la tragedia di Swan Valley e, udite udite, discorre nientedimeno che con Edgar Allan Poe (un ottimo Ben Chaplin), il quale lo aiuta a ritrovare la perduta ispirazione.

E’ la terza pellicola prodotta interamente dalla compagnia di Coppola, la American Zoetrope, ed il film è fortemente autobiografico: il regista subì la perdita di un figlio, nel 1986, morto in un incidente in barca, dunque nello stesso identico modo in cui perde la vita la figlia di Baltimore. Anche la presenza di Poe, è un sentito omaggio nei confronti di uno dei suoi principali ispiratori. L’ idea del film è nata da un sogno, dunque c’è molto, anzi, moltissimo del Coppola-uomo piuttosto che regista, e forse l’ eccessivo coinvolgimento personale ha contribuito al risultato confuso e deludente dell’ opera.

Distaccandosi da tutto questo e guardando al film in modo oggettivo, le pecche sono davvero troppe: si tenta il delicato equilibrio tra umorismo e dramma, spesso fallendo l’ obbiettivo, eccezion fatta per qualche momento realmente divertente (ad esempio, Baltimore alle prese con l’inizio del suo nuovo libro). I due registri si scontrano invece che fondersi, ed il risultato è stridente; ciò che dovrebbe strappare una risata è spesso fonte di fastidio: il personaggio dello sceriffo LaGrange, ad esempio, è troppo eccessivo, sopra le righe, per poter suscitare simpatia. La presa in giro dei luoghi comuni degli horror recenti (i ragazzini accusati di vampirismo), non funziona, e scade nella banalità più trita.

La trama è risaputa e colma di clichè: lo scrittore in declino, ovviamente ubriacone, che ha subito una grave perdita è quanto di più ovvio si possa vedere sullo schermo. La parte onirica è lievemente migliore, ma anch’ essa non esente da difetti troppo evidenti: il personaggio di V. è scontato, quasi macchiettistico, e la parte con Edgar Allan Poe risulta francamente imbarazzante, per quanto dia l’ occasione a Ben Chaplin di fornire una prova d’attore che si eleva dalla media del film. L’ idea dell’ omaggio, della citazione letteraria così manifesta, sarebbe stata buona, ma il contesto purtroppo la ridicolizza.

La fotografia delle parti oniriche, che sulle prime affascina e colpisce, è troppo finta e iper-digitalizzata per poter risultare convincente. L’ atmosfera è burtoniana, del Burton di Sweeney Todd per intenderci (ciò si palesa nell’uso del colore, del bianco e nero contrapposto al rosso, ad esempio), dunque potenzialmente efficace e suggestiva, ma alla lunga finisce per stancare. Due scene del film sono girate in 3D, e se ne poteva tranquillamente fare a meno: la tridimensionalità non aggiunge nulla, e la tecnica non è delle migliori. Queste pecche visive sono difficilmente perdonabili in una produzione di questo tipo, ed abbassano ulteriormente il livello del risultato finale: un minor uso del digitale “ad ogni costo”, avrebbe sicuramente giovato.

Ci sono, ovviamente, dei bellissimi momenti di regia, soprattutto nella parte iniziale, graziata anche dalla rauca voce narrante di Tom Waits: alcune idee sono buone, e nel cotè onirico troviamo le cose migliori, ma al tempo stesso anche le cadute più evidenti, soprattutto a livello stilistico.

La prima cosa che si è portati a pensare, dopo aver visto questo film, è che con esso Coppola abbia firmato il proprio necrologio cinematografico: ci si augura, ovviamente, che non sia così e che questo Twixt rappresenti solo un episodio malriuscito nella sua filmografia. Ma il pessimismo ci ricorda che tanti, troppi grandi registi hanno perso, negli anni, il loro tocco magico, sfornando prodotti sempre più inconsistenti: se anche Coppola sia entrato in questa sventurata schiera non è ancora dato saperlo, ma questo film di certo non infonde buone speranze.

Chiara Pani 
(araknex@email.it)






Twixt
Usa - 2011
Regia: Francis Ford Coppola





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