pubblicata anche su Nocturno.it
Bereavement (2011)
Minersville, Pennsylvania, 1989: Martin, un bambino sofferente di una rara malattia che causa una totale insensibilità al dolore fisico, viene rapito da uno psicopatico che porta in sé le ferite di un’ infanzia durissima, e portato nel mattatoio in disuso dove vive. Cinque anni dopo la giovane Allison si trasferisce nel paesino, ospite degli zii, in seguito all’ improvvisa morte dei genitori. Due storie parallele che finiranno, inevitabilmente, con l’incrociarsi.
Potrebbe essere definito una sorta di “horror di formazione” questo Bereavement (“Lutto” ), pellicola firmata dallo statunitense Stevan Mena e presentata alla XXIX edizione del Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile. Il film è il prequel di Malevolence (2004), dello stesso regista, dunque qui vediamo l’ antefatto, l’ origine e genesi di un killer. Il film parte bene, anche ad un’ eccellente realizzazione tecnica: ottima regia e montaggio, bellissima la fotografia, ad opera di Marco Cappetta, artefice di immagini suggestive ed efficaci nel delineare la differenza tra le scene ambientate nel mattatoio, il folle microcosmo di Graham Sutter (ogni riferimento non è casuale, in un film molto citazionista), ed il mondo esterno: nelle prime, la fotografia è quasi seppiata, irrealistica, rendendo ad arte la dimensione da incubo dell’ ex slaughterhouse. Molto importante l’uso del suono, sia nello splendido score, realizzato dello stesso Mena, sia nella messa in scena delle uccisioni : l’ alternanza tra mostrato e suggerito si mescola ai rumori amplificati del coltello che affonda nelle carni, dell’ ascia che amputa, dei ganci da macellaio che penetrano negli arti. La rara malattia di Martin, un disturbo che causa la totale insensibilità al dolore fisico, è spunto interessante, così come il rapporto tra Sutter ed il piccolo, costretto ad assistere alle gesta omicide del pazzo, che si evolve fino a diventare vera e propria formazione di un killer. Graham è il frutto di un padre violento, col quale egli “dialoga” nei suoi deliri; un inquietante (e visivamente efficace) teschio bovino appeso al muro è il simbolo di quella figura paterna che l’ha reso ciò che è.
La storia di Allison scorre in parallelo: in seguito alla morte dei genitori, è costretta a trasferirsi proprio in quel paesino rurale, ospite della famiglia dello zio, Jonathan, un ottimo Michael Biehn. Le difficoltà della ragazza, il lutto che la opprime, si alternano alla storia del killer e del suo piccolo testimone: finiranno, ovviamente, per incrociarsi. Nel cast figura anche John Savage, nel non memorabile ruolo di un padre paralitico ed alcoolizzato, poco più che un cameo.
Si parte bene, ma ci si perde verso la parte centrale: i deliri di Sutter iniziano a diventare ripetitivi e come villain è debole, non ha carisma. Troppi clichè sono risaputi e si pesca a piene mani dal repertorio horror più sfruttato, a partire da Texas Chainsaw Massacre fino al più recente Frailty; Allison non ha un milligrammo della forza delle eroine slasher anni ’80,e si limita ad urlare e girare in canottiera lasciando intravedere le sue generose grazie. Il finale è fastidiosamente prevedibile, così come il segmento che arriva dopo i titoli di coda e che dovrebbe rappresentare l’effetto sorpresa.
Un film dunque solo parzialmente riuscito, che alterna momenti efficaci ad altri debolissimi e sul filo della noia. Assai bello visivamente in alcune sue parti, ma una bella confezione non basta a riscattare un prodotto privo di una vera sostanza.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Usa – 2010
Regia: Stevan Mena
sembra moderatamente promettente.. mi sa che lo recupererò
RispondiEliminaesatto,moderatamente promettente è il termine giusto.non un capolavoro,ma si lascia guardare :) se ti va,fammi poi sapere se ti è piaciuto :)
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