lunedì 29 ottobre 2012

La mia recensione di "Caterpillar" (2010) di Kôji Wakamatsu per Positifcinema


Una settimana prima della morte del grande Kôji Wakamatsu, in seguito ad un incidente stradale, andava online la mia recensione del suo magnifico "Caterpillar" (2010). La pubblico qui solo ora, come mio piccolo tributo al suo grande Genio. Riposa in pace, ovunque tu sia.


pubblicata su Positifcinema:

http://www.positifcinema.it/caterpillar-di-koji-wakamatsu




Caterpillar (2010)


Il Dio Larva

Caterpillar (Kyatapirâ), letteralmente bruco, larva, è pellicola cardine nella filmografia di Kôji Wakamatsu, regista nipponico principalmente noto per le produzioni di genere pinku eiga (porno softcore), fondatore, nel 1965, della factory Wakamatsu Production, al fine di poter lavorare in piena libertà espressiva, seppur con povertà di mezzi.

Quest’opera, presentata alla Berlinale del 2010 e che valse L’Orso d’Argento come Miglior Attrice alla protagonista Shinobu Terajima, è successiva a un altro film fondamentale di Wakamatsu, United Red Army (2007), racconto epico in tre atti sulla nascita delle violente contestazioni armate della sinistra giovanile negli anni ‘60 che segnò la rinascita artistica del regista nel mezzo di un declino che pareva essere inesorabile.

Caterpillar, parzialmente tratto dal racconto breve di Edogawa Rampo, è un film incompreso e volutamente respingente: stroncato da gran parte della critica, è dunque outsider e fiero di essere tale; dietro al paravento di una messinscena apparentemente semplice e dimessa, con un narrato che si svolge per gran parte in un ambiente domestico, prende vita un racconto complesso e disturbante, nel quale l’attacco feroce al militarismo dell’Impero nipponico e ai crimini di guerra compiuti durante il secondo conflitto Sino-Giapponese (1937-1945), scorre in parallelo con una storia di abusi domestici, dunque un dominio psicologico e sessuale. In Caterpillar, l’uno è metafora dell’altro nel loro intrecciarsi, rafforzando così, inquadratura dopo inquadratura, il potenziale disturbante del messaggio che Wakamatsu  riesce a far giungere allo spettatore , un crescendo che si trasforma in un vero e proprio pugno nello stomaco.
Il tenente Kyuzo Kurokawa (notevole l’interpretazione di Keigo Kasuya, che recita soltanto tramite le espressioni facciali) fa ritorno a casa, in un villaggio alla periferia di Tokyo: sono gli anni ’30 e il conflitto tra Cina e Giappone è ancora ben lungi dal terminare. Kurokawa è orribilmente mutilato, privo di braccia e gambe, sfigurato in volto e incapace di articolare le parole. “Un pezzo di carne”, lo definisce il padre, un mezzo uomo davanti al quale la moglie Shigeko (un’eccezionale Shinobu Terajima) reagisce con un misto di raccapriccio, repulsione e disperazione.
Per gli abitanti del villaggio, Kyuzo è un eroe, è il Dio della Guerra: sulla sua divisa sono appuntate tre medaglie, conferite dall’Imperatore in persona.

I concetti di Patria e Impero, nei quali l’individuo (maschile) è degno di essere tale solo se adatto a servire, in quanto soldato, l’entità imperiale divinizzata, vengono mostrati da Wakamatsu nella loro spiazzante e assoluta cecità, nella totale spersonalizzazione dell’Uomo che diventa solo e unicamente braccio armato.
Poco importa se il loro Dio della Guerra sia ridotto a un tronco umano e non riesca più a proferire parola, e se la moglie debba portare il gravoso fardello di accudirlo: ai loro occhi, è giusto che sia così, in nome di una patria sanguinaria che divora i propri e gli altrui figli, in un Paese dove la donna è per tradizione sottomessa ai voleri del proprio sposo.

La giovane Shigeko si ritrova dunque a prendersi cura del tanto osannato eroe, il quale, in realtà, di eroico ha ben poco: già marito violento e abusivo, nel corso del conflitto si è macchiato di orrendi crimini di guerra; la sua menomazione altro non è che il risultato di una rappresaglia da parte dell’armata cinese. La narrazione si concentra sull’evoluzione del rapporto Kyuzo/Shigeko, dunque tra carnefice e vittima, dominante e dominato: l’uomo, nonostante la sua infermità, tenta ancora di imporre il suo predominio, anche sessualmente, con continue richieste di rapporti carnali alle quali la moglie acconsente provando repulsione, riluttanza, e un’esasperazione sempre più insopportabile.

Il rapporto di forza Kyuzo/Shigeko si trasforma, muta lentamente nel corso del narrato: in un primo tempo la donna acquisisce il dominio poiché il marito è inerme e non può più farle del male, per quanto lei stessa acconsenta a soddisfare i suoi incontenibili appetiti sessuali.
Tuttavia, Shigeko giunge a prendere il controllo in modo sempre più sottile, con armi mentali e non soltanto fisiche, portando il Dio della Guerra in giro per il villaggio, al pari di un fenomeno da baraccone, provocando in lui ira nel fargli ascoltare i tronfi bollettini di guerra alla radio (che Wakamatsu visivamente sottolinea con scritte, e contrasta con immagini di violenza), “prodezze belliche” alle quali lui non può più prendere parte: Shigeko, dunque, strumentalizza a suo favore quel conflitto che lei odia.

“Tu devi solo dormire e mangiare, mangiare e dormire, come un grasso verme”: in queste parole si concentra la catarsi di Shigeko, la rivalsa del dominato su un dominante ormai ridotto a un “pezzo di carne”.

In Caterpillar non ci sono vincitori, la conquista di Shigeko è in ogni caso amara e dolorosa, sofferta come ogni battaglia.

Kôji Wakamatsu ci dona dunque un capolavoro potente, che resta indelebilmente impresso e brucia come un marchio a fuoco: in una guerra, di qualsiasi tipo essa sia, non ci sono vincitori, né vinti, e soprattutto, non può esserci un Dio. 

Chiara Pani
(araknex@email.it)

Caterpillar (Kyatapirâ)
Giappone -2010
Regia: Kôji Wakamatsu

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