venerdì 2 marzo 2012

Per le "Grandi Saghe" di Horror.it : Alien - La Clonazione (1997)

pubblicata su Horror.it:


 
Alien: La Clonazione (1997)

Fu una scommessa non da poco realizzare questo film, quarto capitolo di una serie che, dopo lo sfortunato “Alien 3” (1992), diretto da David Fincher, sembrava ormai destinata a concludersi. Il terzo episodio della saga di Ripley e gli xenomorfi infatti, fu bistrattato sia dai fans che dalla critica: i primi, lo giudicarono troppo cupo e non all’ altezza dei due splendidi predecessori, la seconda, lo liquidò senza troppi complimenti, mettendo a rischio la carriera dell’ allora esordiente  Fincher. Dare alla luce una quarta pellicola dopo un flop clamoroso, sicuramente annunciato e sotto molti punti di vista anche ingiusto, poiché “Alien 3” resta un film coraggioso nel tenere la testa alta dopo due giganti come Scott e Cameron, equivaleva praticamente a fare harakiri. Per di più, mettendo al timone un regista visionario e fuori dagli schemi come Jean-Pierre Jeunet: europeo, all’ epoca conosciuto per il bellissimo “Delicatessen” (1991) diretto a quattro mani con Marc Caro, il cineasta francese è ora più che altro noto per “Il Favoloso Mondo Di Amélie” (2001).  La sceneggiatura fu affidata a Joss Whedon, che in seguito raccolse le sue fortune grazie a serie tv come “Buffy” e “Dollhouse”, e la scelta non fu delle più felici, poiché le pecche maggiori le ritroviamo proprio nello script: riesce a reggere per la prima metà del film, per poi scadere nell’ assurdo e sfondare la soglia del ridicolo verso il finale. “Alien: La Clonazione” ebbe, come prevedibile, un’ accoglienza tiepida da parte del pubblico e critiche non troppo confortanti: chiude il ciclo dal punto di vista narrativo ma è lecito pensare che anche gli esiti negativi al botteghino abbiano scoraggiato i produttori, tra i quali la stessa Sigourney Weaver, a sfornare ulteriori seguiti.
Come accadde per l’ Alien Fincheriano, la diffidenza dei fans ha avuto il suo ruolo: i due capisaldi sono troppo radicati nell’ immaginario fantascientifico per poter lasciare spazio ad altri ospiti, e nonostante il loro indiscutibile valore, ciò non è del tutto giusto. Lo stile di Jeunet è inconsueto nel panorama sci-fi, ma non per questo meno affascinante: visivamente, la pellicola è bellissima, con scenografie squisitamente steampunk prima che questo termine diventasse diffuso ed abusato come ora. Le navicelle non sono solo asettici spazi candidi ed ipertecnologici ma anche antri fatti di pannelli di ferro e tubature arrugginite, splendidi ed apparentemente fragili rottami spaziali al di là di ogni tempo nei quali si intravedono corridoi Gigeriani come la Creatura stessa.
Tutto questo rapisce lo sguardo e stordisce i sensi ma non al punto da far dimenticare una narrazione nella quale gli scivoloni sono davvero troppi.
Ripley, dopo la morte avvenuta nel terzo capitolo, è stata clonata dagli scienziati della navicella Auriga, che le hanno estratto dal corpo la Regina che teneva in grembo; la sua clonazione è stata un esperimento, il numero 8 per la precisione, effettuato a mero scopo di studio, così come tengono in custodia lo xenomorfo, che prevedibilmente si moltiplica, nella folle illusione di poterlo “addomesticare”. Gli scienziati, ovviamente spalleggiati dai militari in quanto l’ Auriga è parte di un tal “Esercito dei Sistemi Uniti” (per dirla con Ripley, la stessa cosa della vecchia “Compagnia”), sono dediti ad esperimenti di “ibridazione” tra umani e alieni: entrerà in scena la Betty col suo equipaggio, spaceship pirata dal carico particolare; trasporta infatti i passeggeri di un’ altra navicella (assalita dai pirati spaziali) , ora dormienti in contenitori criogenici e ignari di essere destinati a diventare “genitori” di bebè alieni.
Ripley, ovviamente, non è più quella di prima: replica di se stessa, ora ha in sé tracce di DNA alieno, che l’ ha resa incredibilmente forte. C’ è qualcosa di folle in lei, l’ antico odio verso gli xenomorfi non è più tale, ora che è in qualche modo una loro simile; la vediamo sorridere, nel sentire il “ruggito” della Regina. Non è docile come l’ equipaggio dell’ Auriga la vorrebbe. E in lei, ci sono ancora residui della sua memoria umana.
I pirati della Betty sbarcano sull’ Auriga: tra loro, la giovane Call (una Winona Ryder come sempre lontana dall’ essere capace di recitare), si dimostra particolarmente diffidente verso Ripley. Ma non c’è molto tempo per i dissapori personali, poiché gli esperimenti alla “cane di Pavlov” compiuti dal Dottor Gediman (un come sempre bravo e qui sprecato Brad Dourif) hanno dato i loro frutti : le Regine si liberano scatenando il prevedibile panico. Qui ha inizio l’ inesorabile declino verso la parte finale, grottescamente ridicola, con una creatura ibrida “partorita” da una delle Regine che guarda Ripley con gli occhioni dolci, le fa le carezze e per poco non la chiama “mamma”.
Peccato, perché anche dal punto di vista narrativo il film non è tutto da buttare: il rapporto Ripley/Call, per quanto poco approfondito, è interessante, al punto da azzardare l’ ipotesi di una Call come rappresentazione di un’ embrionica Ripley. Due sequenze sono memorabili: Gediman che guarda la Regina attraverso il vetro, col volto appicciato contro, quasi a volerlo attraversare. I movimenti della sua testa trovano eco in quelli dell’ alieno, in una scena bellissima, folle ed emotiva, che precede il momento della riuscita del primo tentativo di “addestramento”.
L’ altra, è la sequenza in cui Ripley entra nel laboratorio degli esperimenti, e vede un altro suo clone, il 7, legato ad un letto col ventre pregno di alieni, che la prega di ucciderla: Ripley le spara, e piange. Dà fuoco all’ intero laboratorio, con le lacrime agli occhi. Poco importa se sia impossibile che un clone possa piangere o meno, questo momento isolato del film è intensissimo senza essere pietoso o melenso: Ripley guarda se stessa, uno dei suoi doppi, e la uccide, soffrendo.
Buono e sprecato il cast, con un Ron Perlman pirata rozzo e convincente e un Michael Wincott come sempre viscido ed efficace. Decisamente poco felice la figura del Generale dell’ Auriga (Dan Hedaya), personaggio al quale si danno tocchi comico-grotteschi assolutamente stonati e fastidiosi.
Una morte annunciata dunque, questo quarto capitolo: la coraggiosa scelta di dare il timone a Jeunet è stata soffocata da un copione non credibile, slegato, confuso. Forse il film sarebbe stato sfortunato in ogni caso, per via delle soluzioni visive inconsuete e probabilmente non gradite ai fans della saga: ma una storia nella quale si pretende di addomesticare alieni come se fossero scimmiette e dove un babaccio pseudo-xenomorfo fa gli occhioni dolci alla Weaver, la sfortuna che ha avuto se l’ è decisamente meritata.

Chiara Pani
(araknex@email.it) 

Alien:La Clonazione
Titolo Originale: Alien:Resurrection
USA - 1997
Regia: Jean-Pierre Jeunet









6 commenti:

  1. Mi trovo molto d'accordo con la tua recensione.

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  2. Grazie Francesca :) All' epoca il film mi piacque molto, rivisto ora, diciamo che molte cose sono davvero cadute...peccato, perchè visivamente è davvero assai bello.

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  3. Ti confesso che non mi è piaciuto. Il mio preferito rimane sempre Alien Scontro Finale. A proposito, bel blog...anche dalle mie parti si parla di cinema. Se ti va passa eh??(scusa, ma mi faccio un pò di pubblicità!)

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  4. Fai pure, anzi, mi sono messa tra i followers ;)

    io apprezzo molto il primo di Ridley Scott , ovviamente, ma anche il 3, di Fincher

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  5. a me piaceva assai lo stile cupo del 3.Il primo è un megaclassico,questo l'ho visto al cinema.Potabile e dimenticabile.

    ciao,sono davide l'amico di paolo motta.Da facebook al blog!^_^

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    1. Ciao!!! :)

      questo mi piacque molto alla sua uscita, ora, rivisto dopo anni, assai meno...

      amo moltissimo il 3!

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