Strano e controverso oggetto filmico questo Calvaire,primo lungometraggio del belga Fabrice Du Welz,costellato da critiche non solo discordanti,ma diametralmente opposte,tra chi grida al capolavoro e chi demolisce completamente il film.E’ questo forse,in nuce,il primo pregio della pellicola,suscitare reazioni,forti,in direzioni completamente diverse.Nel cinema odierno,in cui molte opere suscitano la più totale indifferenza,l’assenza di emozioni che è il peggiore dei mali,tutto questo è già molto.
Il canovaccio di sceneggiatura è all’apparenza semplice e ricalcato sulla maggioranza dei “survival horrors”,ma con significative variazioni che lo caratterizzano in maniera originale e lo plasmano su una tematica ben precisa:la solitudine.Vero leit-motiv del film.
Qu non c’è il solito gruppo di teenagers che si avventura turisticamente in luoghi sperduti per finire in pasto al “mostro” di turno.Marc Stevens (il bravo Laurent Lucas),è un cantante girovago,la cui casa è il suo furgone,che sfodera il suo repertorio di canzoni d’amore nelle occasioni più svariate.L’inizio del film,con l’esibizione in un ospizio alle soglie di una nevosa vigilia di Natale,getta già le basi tematiche dell’intera pellicola:la tristezza di fondo,la solitudine sia di Marc che delle persone attorno a lui,ma soprattutto la morbosità di costoro (l’anziana che tenta un triste approccio,l’infermiera che nasconde proprie foto osè nella busta con la paga di Marc),dipingendo fin dalle prime scene il protagonista come calamita dell’altrui debolezza e disperazione.
Lungo il viaggio verso la prossima meta,il furgone si guasta;compare l’inquietante Boris (Jean-Luc Couchard),un ritardato in cerca di Bella,la sua cagnetta persa nei boschi.Anche in questo caso si annuncia un’altra tematica di fondo del film,la perdita/assenza del femmineo,della Donna in quanto catalizzatore d’amore e simbolo di delicatezza in un villaggio abitato esclusivamente da individui di sesso maschile,caratterizzati in modo assolutamente triviale.
Boris conduce Marc alla locanda di Bartel,altro simbolo di solitudine (“nessuno viene più qui da anni,ma le camere sono in ordine”).Bartel (l’ottimo Jackie Berroyer),è personaggio grottesco e inizialmente burbero ma che si accende di un subitaneo ed eccessivo entusiasmo alla vista del furgone “da tour” di Marc:”Lei è un artista!Anch’io sono un artista.Un umorista.Ma da quando mia moglie Gloria mi ha lasciato,ho perso il mio umorismo”.Gloria,che era come Marc una cantante,personaggio presente nel film solo attraverso le parole di Bartel prima,e degli abitanti del villaggio poi,simbolo del Femminile perduto,che se ne è andato,causando dolore,rabbia e infine follia.
Marc,ansioso di ripartire,è suo malgrado costretto a fermarsi alla locanda,bersagliato dalle promesse di Bartel di riparargli il furgone il giorno successivo.
La follia si insinua,sempre più manifesta e meno sottile,nel frugare ossessivo di Bartel all’interno del furgone di Marc,nella scena di accoppiamento tra un uomo del villaggio e un maiale,a cui il protagonista assiste,inorridito,di nascosto,fino alla scena della cena (nella quale il regista ha voluto omaggiare nientemeno che Psycho),durante la quale,in seguito alle insistenze del locandiere,Marc intona uno dei suoi cavalli di battaglia,davanti all’estasiato Bartel:”Grazie per questo meraviglioso momento”.
Questa scena può essere definita uno spartiacque tra la prima parte del film,in cui la tensione è sottesa,e la seconda,dove esplode manifesta e violenta,il mattino successivo,al risveglio di Marc.Bartel è sparito.Nell’armadio della stanza di Marc ora ci sono abiti femminili.Piccoli segni che vanno in crescendo fino alla distruzione e incendio del furgone;la follia di Bartel è ora chiarissima e manifesta :mostrando la batteria a Marc,prima di colpirlo in testa:”è questa che cercavi?sei tornata per andartene di nuovo?”.Nella mente disturbata di Bartel,Marc ora E’ Gloria.
Il seguito del film è piuttosto prevedibile,con Marc ostaggio del folle,tentativo di fuga fallito,nulla manca al consueto pattern del survival horror.Con qualche eccezione che rende il film per alcuni aspetti originale.Bartel si reca all’osteria del paese,per annunciare il ritorno di Gloria e intimare agli ostili abitanti del villaggio di starle lontani.”E chi lo dice che è tua moglie?”,dice uno di loro (impersonato da Philippe Nahon,il memorabile “assassino” di Haute Tension).
Parte un’angosciante melodia al piano (unica musica del film,insieme allo score nei titoli di coda),due uomini ballano tra loro in modo grottesco,seguiti dagli altri.La scena è surreale,per molti versi ingenua,probabilmente anche un po’ inutile nel suo ribadire,per l’ennesima volta,come l’assenza del Femminile porti alla perdita del raziocinio.
Il finale è violento,con una forte e un po’ forzata citazione da Texas Chainsaw Massacre,ed enigmatico,poiché il film pare interrompersi bruscamente.
Film controverso:banale sotto alcuni punti di vista,originale per altri,troppo ingenuo nel suo grido di solitudine di un mondo senza donne diventato rozzo e folle,apparentemente forzato nell’identificazione Marc/Gloria da parte di Bartel,in realtà identificazione da parte dell’intero villaggio,con una donna che probabilmente non è mai nemmeno realmente esitita.A dire del regista,i personaggi del film sono soltanto due,Marc e Bartel,poiché gli “altri” sono solo variazioni di Bartel stesso.
Ul film dunque con molti difetti,ma anche innegabili pregi.Uno strano oggetto dunque,una sorta di gioco di specchi in cui lo spettatore può vedere cose diverse,e trarne diverse conclusioni.
Araknex/Chiara Pani
(araknex@email.it)
Regia: Fabrice Du Welz
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