domenica 2 dicembre 2012

La mia recensione di "Shell" (2012), vincitore del Torino Film Festival, per CineClandestino


Pubblicata nella giornata di ieri su CineClandestino, ecco la recensione di Shell, film che si è rivelato il trionfatore di questa edizione del Torino Film Festival. Vittoria secondo me meritatissima.

pubblicata su CineClandestino:

http://www.cineclandestino.it/it/altrocinema/2012/shell.html





Shell (2012)

Le sperdute lande dell’Anima


Shell è il nome della protagonista di questo piccolo e al tempo stesso immenso film in concorso alla 30 ° edizione del Torino Film Festival, Shell come conchiglia, scrigno chiuso che racchiude in sè qualcosa di assai prezioso, per usare le stesse parole della ragazza, in risposta all’ottusa battuta di un cliente di passaggio che cita, banalmente, una nota marca di carburante; c’è davvero una perla di grande valore nascosta nel guscio di quest’opera prima, firmata dal britannico Scott Graham, che si schiude poco per volta in tutta la sua limpida bellezza. Così come limpido e ancora infantile è il volto di Chloe Pirrie, interprete straordinaria che recita con lo sguardo, le espressioni spesso attonite, i gesti ed i lunghi silenzi intervallati da poche ma essenziali parole.
Graham realizza un’opera con pochissimi elementi, sia dal punto di vista attoriale che da quello dell’ambientazione: i protagonisti principali sono soltanto due, la giovane e suo padre Pete, interpretato da Joseph Mawle (“1921 – Il Mistero di Rockford”, “La Fredda Luce del Giorno”), anch’egli eccelso nel delineare una figura paterna giovane ma dal volto già segnato, e vittima di improvvisi attacchi di epilessia. Shell e Pete gestiscono una stazione di servizio sperduta nelle highlands scozzesi, in cui le giornate scorrono lente, divise tra i rari automobilisti di passaggio e l’abitazione del piccolo nucleo famigliare, spazio cardine della messa in scena, luogo chiuso, claustrofobico, contrapposto al paesaggio che lo circonda, sconfinato e quasi impressionante nella sua totale bellezza. Il mondo esterno contro il microcosmo al quale Shell è ancorata, sia dall’affetto verso che il genitore che dall’obbligo, poiché lo stato di salute del padre la  costringe a restare lì, senza poter fuggire.

Guardare il mondo o meglio immaginarlo, ponendo domande incuriosite ai propri sporadici clienti, chiedendo loro da dove arrivino, dove siano diretti, cercando così di portare via scampoli di vita al di fuori del suo isolamento. La giovane occulta la propria fisicità con maglioni larghissimi ed un giaccone che ha sempre addosso, schermandosi così dietro ulteriori corazze entro le quali si sente al sicuro. 
Il rapporto col genitore si delinea lentamente, nel corso del narrato, prendendo una forma ambigua, fino a toccare da vicino il legame incestuoso: i ripetuti “I love you” che Shell dice a Pete restano nell’ambivalenza del significato, che in inglese corrisponde sia al voler bene che all’amore, ed è attraverso le immagini e le situazioni che la frase assume sfumature diverse, fino a risultare tagliente nella sequenza dell’amorevole e morboso abbraccio con cui la figlia stringe il padre, dopo essersi rifugiata nel letto di lui per ripararsi dal freddo, nel desiderio di una vicinanza fisica che l’uomo tenta, seppur con fatica, di respingere.

Graham riesce a trattare un argomento delicato con una sensibilità eccezionale, lasciando scorrere sotto la pelle del racconto questo tumulto di sentimenti e sensazioni, rappresentati mediante dialoghi ridotti all’osso, sguardi colmi di significati, piccoli ma importantissimi gesti che valgono più di tanti inutili discorsi.
Il silenzio, infatti, domina una narrazione in cui lo score è totalmente assente, sostituito dal suono del vento, sottofondo ideale che simboleggia l’onnipresenza della Natura desolata e selvaggia in cui si colloca la trama del racconto; unica eccezione musicale è la splendida The Walk Of Life dei Dire Straits, sulle cui note Shell si scatena in una danza solitaria, catartica, liberatoria di un’energia vitale tenuta, volutamente, sottochiave per il resto della pellicola.

La solitudine dei due protagonisti, motore primario del loro legame simbiotico insieme alla malattia dell’uomo, è isolamento al tempo stesso volontario e riluttante, accettato con una rassegnazione nelle cui pieghe l’impulso di fuggire scalcia silenziosamente.
I pochi clienti della stazione di servizio sono galleria umana con cui la ragazza si confronta, in modo spesso conflittuale: il giovane Adam (Iain De Caestecker), operaio in una segheria della zona, rappresenta un possibile corridoio di fuga verso il mondo esterno, nel suo interesse verso Shell, nel chiederle più volte di trascorrere una serata al pub, inviti a cui la ragazza risponde con un “I don’t know”, parole che sono eco non soltanto di una perpetua incertezza nell’accettare un rapporto umano altro da quello che la lega al padre, in un timore di “tradire” il genitore, ma che rappresentano il sostanziale conflitto tra il desiderio di fuga e la paura di assecondare questo impulso, dettata anche dalla necessità di dover restare per non abbandonare colui che non può restare solo.  

Altro personaggio che ruota attorno a questo piccolo mondo è Hugh (un’ottimo Michael Smiley, il Gal di “Kill List”), uomo rattristato dal non riuscire mai a trascorrere del tempo con i propri bambini, che vede in Shell una sorta di ancora di salvezza in una vita mesta, ma dalla quale è anche colpevolmente attratto.

Scott Graham ed i suoi straordinari interpreti ci donano dunque un kammerspiel circondato da terre sconfinate che rappresentano, per la protagonista, il mondo esterno, l’ignoto, affascinante e spaventoso al tempo stesso, con riprese paesaggistiche che tolgono letteralmente il fiato per la loro assoluta ed imponente bellezza.
Un film che si disserra come un dono prezioso, in uno svolgersi lento, con una calma apparente che cela i tumulti di un’anima che si offre poco per volta, mettendo a nudo le proprie paure, conflitti e sentimenti che non si possono confessare, in 90 minuti di incanto filmico che permangono, avvolgendo come un guscio il cuore dello spettatore.

Chiara Pani
(araknex@email.it)

Shell
Uk - 2012
Regia: Scott Graham


2 commenti:

  1. questo è il cinema che amo!Bellissima recensione,ci fa quasi toccar con mano le emozioni di shell

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    1. grazie davvero :) questo è il cinema che amo anch'io poichè è realizzato proprio con amore. Una vittoria davvero meritata.

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