per lo speciale C(o)unt to Zero Dark Thirty di Positifcinema, dedicato a Kathryn Bigelow, il mio articolo sullo splendido Near Dark (Il Buio Si Avvicina)
pubblicato su Positifcinema:
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Il Buio Si Avvicina (Near Dark) (1987)
La Carne e il Sangue
Il Buio Si
Avvicina (Near Dark) è film fondamentale, sia nella carriera di Kathryn Bigelow
che nella rappresentazione cinematografica dell’ormai esasperatamente sfruttata
figura del Vampiro; la pellicola è, in primis, il primo lungometraggio diretto unicamente
dalla regista (il precedente The Loveless, del 1982, l’aveva vista collaborare
a quattro mani con Monty Montgomery): fu una vera sfida per la Bigelow, alla
quale il produttore Edward S. Feldman diede cinque giorni di tempo per
dimostrare di essere in grado di portare avanti il lavoro, altrimenti sarebbe
stata sostituita.
Inutile dire che la scarsa fiducia di Feldman subì un
meritato smacco, poiché Near Dark non solo rappresenta una punta altissima
nella filmografia della cineasta californiana, bensì ha segnato un punto di
svolta all’interno della ciclopica mole di opere riguardanti le creature della
notte. Sceneggiato dalla stessa Bigelow insieme ad Eric Red, già regista ed autore dello
script di The Hitcher, il quale riporta l’orrore on the road anche in questo
contesto, il film era inizialmente nato in
quanto western, per poi aggiungervi la tematica vampiresca al fine di renderlo
più appetibile per il pubblico; gli anni ’80, infatti, videro un riflusso del
cinema dei succhiasangue, a partire da Ragazzi Perduti, di Joel Schumacher,
anch’esso del 1987, simile nelle linee guida del plot ma sostanzialmente opposto
nel risultato finale: se The Lost Boys conservava una patina modaiola,
sfruttando vecchi cliché tra cui quello dei vampiri belli e dannati, il film della
Bigelow va ben oltre, slegandosi completamente da strutture pre-esistenti e
re-inventando il non-morto, partendo però dalla sua origine primaria, ossia il Dracula
di Bram Stoker.
E’ proprio da lì, infatti, che proviene l’idea, fino a quel
momento assai poco sfruttata, della reversibilità del contagio vampirico (drenare
completamente il sangue della vittima per poi eseguire una trasfusione di
plasma sano), che qui diventa centrale, determinando così la scelta di Caleb
(Adrian Pasdar) nell’ abbandonare la sua nuova condizione per tornare umano,
nonostante il sentimento che ormai lo lega a Mae (Jenny Wright), colei che l’ha
trasformato, con un bacio che è divenuto un morso. La diversità di “specie” non
è un ostacolo, lo stereotipo del vampiro che non può amare poiché privo
dell’anima è qui demolito insieme a tutti gli altri residui del vecchio
immaginario: l’Amore è pulsante, presente anche e soprattutto in quanto
carnalità (per usare le parole della regista, una “sessualizzazione della
violenza”), non soltanto in Mae e Caleb ma in ogni componente del clan/famiglia
di vampiri-nomadi che dà vita alla storia: il patriarca Jesse (perfetto Lance
Henriksen) e la sua compagna Diamondback (Jennette Goldstein), il sensuale e
violento Severen (uno dei personaggi più riusciti, insieme a Jesse,
interpretato magnificamente da Bill Paxton), che rappresenta il puro istinto
senza freni, e Homer (Joshua Miller), adulto intrappolato per sempre nel corpo
di un ragazzino, le cui pulsioni premono per esplodere.
Il clan è
al tempo stesso famiglia e gang, ostile verso Caleb in quanto non vi è la certezza
che sia già diventato uno di loro, e soprattutto pienamente appagato dalla propria
condizione: la scena del bar è esemplare in tal senso, nel contrapporre
l’autocompiacimento dell’essere vampiri, dell’uccidere, del giocare con le
vittime che caratterizza il resto del gruppo
(Severen in particolare) al conflitto interiore di Caleb, il rifiuto verso ciò
che sta diventando (tormento simile a quello del Louis di Intervista col
Vampiro, che, insieme al Dracula di Stoker, all’epoca delle riprese era l’unico
romanzo sul tema letto dalla Bigelow): questo contribuisce a rendere il
personaggio del giovane “umano” assai meno attraente, quasi pedante e noioso,
mentre non si può non essere irresistibilmente affascinati dai magnetici e
seducenti villains proprio in ragione del loro essere tali.
La caduta
degli stereotipi: qui i vampiri non hanno canini aguzzi, non si trasformano
assumendo fattezze mostruose, non temono aglio o acqua santa e, quel che è più
importante, la parola vampiro non viene mai pronunciata per tutta la durata
della narrazione. Si parla di malattia, di paura per ciò che si sta diventando,
ma per quanto possa essere palese cosa siano i personaggi del film, non si
traccia la netta linea di confine verbalizzando ciò che marca la differenza. C’è
un perenne senso di indeterminatezza e di incertezza, ma soprattutto si evidenzia
la vulnerabilità dei protagonisti: Near Dark, come già si diceva, è
fondamentalmente un western, con tutti i tòpoi del genere, dal duello fino alle
colt passando per l’ambientazione in un’Arizona bruciata dal sole, dunque il
luogo meno adatto per coloro che bruciano non appena vengono avvolti dalla
luce. Questo li rende nomadi, perpetuamente in fuga, schermando i vetri
dell’auto nel momenti in cui la temuta palla infuocata compare in cielo:
proprio in questo senso, assumono l’aspetto di fuorilegge on the run. Lo scorrere
dei giorni è visivamente scandito da inquadrature dell’alba, che compaiono
sullo schermo come minacciosi moniti. Potentissimi, eppure fragili nel loro
unico punto debole.
Il
sottofinale è un susseguirsi di esplosioni, che corrispondono alla
deflagrazione della carica emotiva del racconto, per poi quietarsi nella parte
conclusiva, sostanzialmente positiva ma sempre sottesa da quel senso di
incertezza e dubbio che permeano l’intero narrato.
Lo score,
firmato dai Tangerine Dream, accompagna le immagini in maniera suggestiva ed
empatica, passando dalla pacatezza ipnotica ad un ritmo ossessivo e convulsivo
per le scene più cruente. La sequenza nel bar è graziata dalla magnifica cover
di Fever, di Elvis Presley, ad opera degli immensi Cramps, scelta quanto mai
azzeccata per quello che è uno dei momenti in assoluto più notevoli e incisivi
del film. Da ricordare anche la splendida sparatoria tra la gang asserragliata
nel motel e i poliziotti all’esterno, nella quale ogni foro di proiettile nel
muro ferisce non per il piombo, ma per la luce che fa trapelare: gli echi del Mucchio
Selvaggio di Peckinpah sono presenti, memoria storica fulgida, altissima e non
sradicabile.
Near Dark è
dunque un film-impronta nell’ormai consolidata carriera della Bigelow, regista
che si è appropriata di un genere da sempre considerato patrimonio maschile,
l’action, sfaccettandolo con ritratti
umani (o non-umani, come in questo caso) difficili da dimenticare, pellicola
che, al tempo stesso, ha rivoltato come un calzino i luoghi comuni sui vampiri
spogliandoli dalle polverose vesti di dandy gentiluomini, togliendo loro ogni leziosità
manieristica, e rendendoli mai come ora così vicini agli umani.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Titolo originale: Near Dark
USA - 1987
Regia: Kathryn Bigelow