Passion, di Brian De Palma, per Point Blank:
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Blog di critica cinematografica, partendo dall'horror per andare oltre, molto oltre
giovedì 15 agosto 2013
Passion (2012)
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mercoledì 26 giugno 2013
Antiviral
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Killer In Viaggio
Killer In Viaggio per Orizzonti di Gloria:
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Solo Dio Perdona (Only God Forgives)
Solo Dio Perdona, per Orizzonti di Gloria:
http://www.orizzontidigloria.com/12/post/2013/05/solo-dio-perdona-refn-recensione-la-vendetta-e-lincubo.html
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Little Deaths
Little Deaths, per Orizzonti di Gloria:
http://www.orizzontidigloria.com/15/post/2013/05/begotten-recensione-la-creazione-oscura.html
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martedì 25 giugno 2013
Begotten
Begotten, per Orizzonti Di Gloria:
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Il Cinema di Tsai Ming Liang - Nel Silenzio Famigliare (Point Blank)
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THE BAY di Barry Levinson | Positifcinema
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poco tempo ma non mi fermo :)
per motivi di cronica mancanza di tempo non sto più riuscendo a inserire tutto ciò che pubblico altrove qui sul blog.
in questo periodo condividerò i link dai siti in modo che il blog continui a vivere anche in questo periodo particolarmente caotico
attendendo di tornare all'attività in senso pieno :)
Ne approfitto per annunciare la mia recente e felice collaborazione con Orizzonti di Gloria:
http://www.orizzontidigloria.com/
sito che vi consiglio caldamente di seguire ^__^
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domenica 31 marzo 2013
Il mio articolo su "Kairo" (2001), di Kiyoshi Kurosawa, per Point Blank
il mio sguardo retrospettivo su "Kairo" (2001), caposaldo del j-horror, di Kiyoshi Kurosawa
pubblicato su Point Blank:
http://www.pointblank.it/?p=29522
Kairo (2001)
La spettrale solitudine di una Stanza Proibita
Kairo (che tradotto letteralmente
significa “circuito”), pellicola del 2001 dunque ormai risalente a ben dodici
anni fa, si staglia nella filmografia di Kiyoshi Kurosawa come una sorta di
corpo estraneo, ectoplasmico come le inquietanti entità che lo popolano. Presentato
nella sezione Un Certain Regard al 54
° Festival di Cannes, resta punto cardine del J-Horror, che al tempo viveva il
suo periodo più fulgido per poi esaurirsi in una ripetitività per molti versi preannunciata,
reiterando stilemi di base che si sono, inevitabilmente, auto-fagocitati fino a
rasentare il grottesco o il macchiettistico. Tuttavia, se oggi si sorride
davanti all’ennesima ragazzina con i capelli lunghissimi sul volto, uno dei retaggi/debiti
del genere verso il teatro Kabuki, antica forma di rappresentazione popolare che
è radice dell’horror nipponico, un decennio fa si veniva inesorabilmente
colpiti, e terrorizzati, da quest’orrorifico rarefatto, costruito sulla
gestualità, la mimica facciale, lo spavento-effetto mostrato prima della
paura-causa, in un meccanismo dunque esattamente contrario a quello della messa
in scena occidentale.
Kurosawa esordì nel 1975, spaziando tra tipologie filmiche assai diverse tra loro,
dal pinku-eiga (l’erotico soft-core)
alla commedia passando per il gangster-yakuza: è nel 1997, con l’ormai celebre
thriller Cure, che la sua poetica
prende forma e direzione precise, nell’essere metafisica, sospesa nel tempo e
nello spazio, ed essenziale nel suo lavorare di sottrazione. Cure inaugurò, in un certo qual modo, la
corrente j-horror contemporanea, un anno prima del celeberrimo Ringu, di Hideo Nakata, che ne consacrò
le caratteristiche fondamentali, divenendone manifesto vero e proprio. Kairo, per molti versi, rimanda al suo
illustre predecessore, manifestando al tempo stesso un’identità propria e
peculiare che l’ha reso pellicola di culto, al punto da venire eletto “il
miglior horror orientale del millennio” dagli utenti di Asian Feast, sito
dedicato alla cinematografia del Sol Levante.
Ghost-story
figlia della tradizione dei kwaidan,
i racconti di fantasmi risalenti al periodo Edo (1603-1868) e al periodo Meiji
(1868-1913) che si presentano come basi primordiali dell’orrorifico giapponese,
la pellicola è fautrice di un discorso
assai più ampio e profondo, che va al di là della pura narrazione spaventevole
di stampo sovrannaturale, basandosi su paure ancestrali reiterate nel mondo
moderno, divenendone prole legittima. La solitudine, infatti, insieme alla sostanziale
incapacità di comunicare tipica della società odeirna, è la vera protagonista
del plot, che usa la figura dello spettro in quanto metafora di un’umanità
disperata e votata a un isolamento dal quale non vi sono vie di fuga. Il
concetto di aldilà viene prepotentemente inserito nel nostro mondo, nel
contesto del reale, trovando incarnazione nello spazio delle stanza proibita, luogo-simbolo nel quale
i morti si manifestano, il cui uscio è sigillato da nastro isolante rosso e che
attira irresistibilmente i vivi in un continuo interscambio tra le due
dimensioni. E’ proprio nella labilità di questo confine e nella
fusione/identificazione tra il regno dei defunti e la realtà così come la
conosciamo che il film diventa oggetto a sé, discostandosi dalle altre
produzioni di genere e presentando una poetica del tutto innovativa; nella
pellicola di Kurosawa, infatti, le entità appaiono tramite i computer e la rete
Internet, utilizzando un mezzo-macchina
così come accadeva in Ringu con
l’apparecchio televisivo, diffondendosi come vero e proprio contagio
nell’invadere il mondo dei vivi che è simile e speculare al proprio.
Defunti
che infestano la Rete, qui portale di passaggio, sconfinando nel nostro territorio
poiché “quando l’aldilà è zeppo, le anime
sono obbligate a spostarsi nella nostra realtà”, concetto,
inequivocabilmente, di Romeriana memoria. Le entità che vediamo in Kairo, terrificanti nelle loro movenze
lentissime che le rendono eternamente sospese e presenti, sono spettri atipici,
figure di raccordo tra Morte e Vita: si
materializzano, per poi scomparire lasciando una macchia sul muro, un segno
tangibile, organico, materiale e percepibile così come il loro agghiacciante
chiedere “aiuto” attraverso un monitor o tramite un apparecchio telefonico. A
differenza dei fantasmi tradizionali, che lasciavano volatili scritte sugli
specchi rimanendo dunque relegati a un beyond
quasi rassicurante poiché separato da questo mondo, gli umani ectoplasmi di
Kurosawa comunicano con la voce e si muovono nello spazio, in una mortale pandemia
che altro non è che specchio riflettente della vita stessa. “Le persone e i fantasmi sono la stessa
cosa, che siano vive o no”, dice la giovane Harue, studentessa di
informatica, a Kawashima, che a differenza degli altri personaggi del film
rifiuta l’idea di thanatos, in uno
slancio verso il vitale che lo porterà al tentativo disperato di strappare la
ragazza al non-luogo di un morire eterno, nel quale ella vede i defunti come
esseri che vogliono, semplicemente, renderci immortali.
Kairo dipinge dunque un cosmo a metà, recante
una frattura tra vita e morte che è solo crepa sottilissima, un territorio di confine in cui chi è vivo
vorrebbe morire e chi è morto desidera tornare, alla perenne ricerca di
qualcosa che non si riesce ad afferrare: da qui la solitudine, dei viventi e
dei defunti, e l’incomunicabilità simboleggiata da quell’interazione fittizia
di cui la Rete è portatrice.
L’ectoplasma
diviene dunque corpo fisico, restando fedele all’eredità del già citato teatro Kabuki, basato, come del resto l’intero corpus stilistico del J-Horror, sulla
mimica facciale e sulla gestualità, in una rarefazione del dialogo spesso trasformata
in assoluto silenzio, spezzato soltanto da rumori di interferenza e sinistri
lamenti. Lo scream che caratterizza
l’orrorifico occidentale è qui sostituito da espressioni terrorizzate, ben più
evocative di qualsiasi urlo lancinante, che nella messa in scena sono spesso
mostrate prima della causa della paura, creando così quella disturbante
inquietudine anticipativa propria del genere, che si riscontra, in Kairo, in soluzioni visive frutto di una
meticolosa attenzione per l’inquadratura, vero e proprio studio la cui
conseguenza sono personaggi sovente mostrati di spalle oppure parzialmente, in
un terrore sussurrato e suggerito che si fa forte dell’attesa di un movimento,
un gesto, un voltarsi. Nessun spavento facile in quest’opera, a differenza dei
numerosi epigoni che giocheranno su apparizioni improvvise e prepotenti: qui
domina una lentezza che agghiaccia ben più del balzo repentino, indugiando al
fine di costruire un terrore basato anche sulla dilatazione temporale.
Il suono, e
la sua natura sinistra e spaventevole, ha un ruolo preponderante,
caratteristica comune a altri horror nipponici, Ringu in primis: è proprio la parsimonia con la quale l’elemento
sonoro è utilizzato a renderlo così destabilizzante, l’alterazione e
distorsione di voci e rumori che si insinuano nel silenzio del reale,
risultando sconcertanti. Tòpos
filmico che trova una delle sue origini anche nel cinema di genere italiano
anni ’70, in special modo quello Argentiano.
Kairo è film che resta opera centrale nel
panorama orrorifico orientale, pellicola cardinale in virtù del suo risultare,
anche a distanza di anni, atipica e genuinamente spaventosa nell’ambito di un
filone che, tra remake hollywoodiani e stilemi ripetuti all’eccesso, si è
esaurito in modo naturale, seguendo un ciclo spontaneo: ha concluso,
semplicemente, il proprio discorso, scegliendo di tacere poiché non restava
altro da aggiungere.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Kairo
Giappone - 2001
Regia: Kiyoshi Kurosawa
Data di uscita italiana: inedito in sala
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La mia recensione de "La Madre" (Mama) (2013) per Point Blank
pubblicata su Point Blank:
http://www.pointblank.it/?p=29384
La Madre (Mama) (2013)
Uscito nelle sale statunitensi
il 18 Gennaio, con un repentino balzo in cima alle classifiche dei box office, La Madre (Mama) approda nel notro Paese portando con sé il biglietto da
visita di ottimi incassi e di una produzione firmata Guillermo del Toro,
attivissimo in queste vesti con titoli che spaziano da Lo Hobbit a pellicole meno conosciute come Splice (2009). Per il giovane regista spagnolo Andrés Muschietti,
che con La Madre esordisce nel
lungometraggio, del Toro è stato vero e proprio mecenate: nel 2008, Muschietti
realizzò il corto Mamá, ottimo
esempio di meccanismo orrorifico dall’idea fulminante e della durata di soli
tre minuti , che impressionò il cineasta messicano al punto da volerne produrre
una versione full-lenght, che
risulta, purtroppo, indebolita proprio dalla dilatazione del narrato. Quelli
che erano i punti di forza del cortometraggio, ossia l’angoscia, la tensione e
l’effetto-sorpresa, finiscono inevitabilmente per smarrirsi sulla lunga durata,
che diluisce lo spunto di partenza in una storia per molti versi risaputa e
assai derivativa.
E’ proprio la mancanza di
originalità la principale pecca dell’opera di Muschietti, già autore di spot
pubblicitari e produttore dello short film d’origine insieme alla sorella
Barbara: La Madre ripropone tutti gli
stilemi dell’horror contemporaneo, pescando a piene mani da più fonti, a
partire dal j-horror fino alla stessa poetica di del Toro, nel mostrare un
universo infantile cupo e dominato da paure primordiali, la classica fiaba nera
in cui latitano due componenti essenziali: uno script robusto e un reale senso
di spavento.
Un
peccato, poiché la tematica avrebbe potuto condurre a un risultato decisamente
più efficace: due bambine, Victoria e la
sorellina Lilly, rimaste orfane in circostanze tragiche, vengono abbandonate a
loro stesse in un capanno in mezzo ai boschi. Regredite a uno stato selvatico e animalesco,
verranno ritrovate cinque anni dopo grazie alle ricerche dello zio Lucas (Nikolaj-Coster
Valdau), il quale, insieme alla compagna Annabell (altra ottima prova di
Jessica Chastain in vista della nomination all’Oscar per Zero Dark Thirty), ne ottiene la custodia, per intercessione dello
psichiatra che le ha in cura, il Dottor Dreyfuss (Daniel Kash), il quale
continuerà a monitorarne i progressi.
La coppia e le bambine vengono così
trasferiti in una casa protetta, un’abitazione/laboratorio che permetterà loro
di proseguire la terapia, dunque un ambiente-ponte tra la solitudine selvaggia
e il calore domestico vero e proprio. L’idea possiede dunque un ottimo
potenziale, nel porre l’accento sulla natura puramente istintivo/animalesca
dell’infanzia, osservando le reazioni aggressive di Victoria e Lilly,
completamente disorientate dopo un isolamento che in realtà è stato solo
apparente: nel corso delle sedute con Dreyfuss, infatti, si scoprirà che non
erano sole. Mama, figura femminile mostruosa, spettro di una donna morta
suicida col proprio neonato tra le braccia e dunque avida di riversare un
istinto materno tragicamente sottrattole, è colei che le ha accudite durante
quei cinque anni e, come in ogni ghost-story
che si rispetti, vuole riprendere possesso degli affetti che ormai sente come
propri: un rimando dunque, all’archetipo junghiano della “Grande Madre”, nel
contempo “amorosa e terribile”, un “materno mostruoso” che ha dominato molte
pellicole di genere, da Psycho in
avanti.
La
pecca principale del narrato si ritrova nel palesare in modo eccessivo la
natura spaventevole di Mama, rendendola mostro tout-court senza lavorare su
sfumature che sarebbero risultate sicuramente più degne di interesse. Le
derivazioni dal j-horror sono evidenti nella figura ciondolante ed emaciata, che,
sorprendentemente, non è soltanto artificio digitale bensì è interpretata da un
attore in carne e ossa, lo scheletrico Javier Botet, già visto in [REC] nei
panni della ragazzina demoniaca. Interessante,
per contro, il personaggio di Annabell, che vediamo evolversi da una
sostanziale indifferenza iniziale a “nuova mamma” affettuosa e presente: è
proprio questo passaggio, la minaccia rappresentata da una figura muliebre a
scatenare le ire dello spettro.
Sottotesti
non scontati, che vengono però appiattiti da una patinatezza eccessiva e troppe
strizzate d’occhio al box-office. Muschietti si dimostra tuttavia abile nel
gestire la tensione, che resta efficace per l’intera durata della pellicola, inficiata
però da una sceneggiatura che presenta troppe falle per poter convincere
appieno.
Il
cortometraggio del 2008, che il regista definisce ora un “esercizio di stile”,
possedeva una certa potenza che viene purtroppo a mancare ne La Madre, prodotto standard di livello
medio, ben realizzato e confezionato ma privo di quel quid che avrebbe potuto renderlo un’opera interessante e peculiare
nel panorama orrorifico odierno.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Titolo originale: Mama
Spagna/Canada - 2013
Regia: Andrés Muschietti
Data di uscita italiana: 21 Marzo 2013
Data di uscita italiana: 21 Marzo 2013
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