pubblicata su CineClandestino.it:
http://www.cineclandestino.it/articolo.asp?sez=10&art=9645
“Mi chiamo Roger Brown. Altezza: un metro e 68 centimetri. Capirete che devo compensare la mia altezza”. Così inizia Headhunters (Hodejegerne), pellicola del 2011 co-prodotta da Norvegia e Germania, vincitrice della più recente edizione del Noir InFestival di Courmayeur; diretta con mano sapiente da Morten Tyldum (“Buddy”, “Varg Veum”), è tratta dall’omonimo romanzo (ancora non distribuito in edizione italiana) dell'ormai celebre scrittore norvegese Jo Nesbø, autore di noir come “L’Uomo Di Neve”(2010) e “La Ragazza Senza Volto”(2009).
Il film può dare l’impressione di seguire la scia del successo editoriale di Stieg Larsson e delle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi, ma è influsso soltanto apparente, poiché le differenze sono notevoli sotto molti punti di vista. Si può comunque parlare a pieno titolo di una rinascita nordeuropea anche dal punto di vista letterario, poiché in campo cinematografico, dal Dogma di Von Trier fino a Nicholas Winding Refn, l’ estremità più fredda del nostro continente si è già confermata culla di un nuovo corso tra i più fulgidi che si siano visti sui grandi schermi da molti anni a questa parte.
La pellicola mescola noir, thriller e ironia, sebbene la chiave umoristica possa risultare, a volte, un po’ fuori luogo, quasi una forzatura non necessaria in un contesto che avrebbe potuto essere più puramente cupo: l’umorismo nordico è forse per noi non immediatamente comprensibile, ma ciò non inficia il buon risultato complessivo del’opera, seppur essa non sia esente da qualche scivolone di sceneggiatura (adattata dal romanzo di Nesbø per mano di Lars Gudmestad e Ulf Ryberg). Il meccanismo a incastro del plot ogni tanto si inceppa, generando dei vuoti che possono lasciare interdetti; il noir è genere che va maneggiato con cura ,Tyldum guarda a modelli assai elevati ossia nientemeno che al Maestro Hitchcock, in primis nelle tematiche, ad esempio il deflagrante potere distruttivo di un individuo sull’ordinaria vita altrui.
Il compito è ben svolto, la macchina da presa è agile e sicura e il montaggio ha un ruolo fondamentale nel dare un ritmo fin troppo accellerato alla vicenda, al punto che in alcuni momenti si fatica quasi a seguirla; la fredda e netta fotografia di John Andreas Andersen (“King Of Devil’s Island”) rende perfettamente l’atmosfera del racconto, e le musiche accompagnano armoniosamente l’insieme, ma a fine visione, per quanto nel complesso soddisfatti, si rimane con la sensazione di aver percepito qualche nota stonata in una sinfonia per altri versi ben riuscita.
Queste pecche possono essere ritrovate, come si diceva, nelle falle del plot, e nella varietà di registri che non sempre riescono a sposarsi in modo armonioso. Tuttavia, il valore della pellicola riesce a restare al di sopra della media, seppur paghi lo scotto dei suoi errori, soprattutto in un finale poco credibile.
Il protagonista, Roger (ottima l’interpretazione di Aksel Hennie, che regala al personaggio il suo volto al tempo stesso algido e infantile), subisce una trasformazione nel corso del narrato: da cinico uomo d’affari il cui unico punto debole è la bellissima moglie Diana (Synnøve Macody Lund), che ha il terrore di perdere e che crede di tenere legata a sé accontentandola in tutto tranne che nel suo unico e reale desiderio, ossia la maternità, si trasforma in preda, paranoico fuggiasco dopo l’incontro col fascinoso Clas Greve (Nikolaj Coster-Waldau, noto per la serie televisiva “Game Of Thrones”) , manager olandese a capo di una società leader nel rintracciamento tramite gps. Per mantenere il suo dispendioso tenore di vita, dettato dall’insicurezza di fondo dell’avere una moglie così “bella e intelligente” e dalla materialistica ingenuità del credere che sia sufficiente il denaro a non farla scappare, Roger si dedica ai furti d’arte, usando la sua attività di recruiter del personale per raccogliere informazioni sulle sue potenziali vittime. Egli è dunque un uomo fragile, Diana è il suo tallone d’Achille e l’astuto Clas lo colpisce proprio nel vivo, scatenando l’istinto più malsano: la gelosia. Un Rubens custodito in casa di Greve, i pensieri ossessivi di Roger, ma soprattutto la sete di potere dell’olandese che sfocerà in follia, daranno vita a una caccia all’uomo che vedrà Brown in situazioni talvolta tragicomiche, che smorzano, purtroppo, il potenziale alto voltaggio di tensione del racconto.
Il rapporto Roger/Clas/Diana è un triangolo interessante e reso in maniera anche piuttosto efficace, nel suo essere terreno di scontro di possesso, conflitto e rabbia; si pecca però di un buonismo eccessivo, una dose di cattiveria in più avrebbe reso il tutto assai più godibile, in special modo nella parte finale.
Nel complesso, una pellicola interessante, senza dubbio originale, e di buona fattura; tuttavia, una maggiore destrezza nel maneggiare registri diversi e l’aggiunta di un cucchiaio di cinismo avrebbero regalato un risultato decisamente superiore.
Headhunters
(Hodejegerne) (2011)
Cacciatori
e Prede
“Mi chiamo Roger Brown. Altezza: un metro e 68 centimetri. Capirete che devo compensare la mia altezza”. Così inizia Headhunters (Hodejegerne), pellicola del 2011 co-prodotta da Norvegia e Germania, vincitrice della più recente edizione del Noir InFestival di Courmayeur; diretta con mano sapiente da Morten Tyldum (“Buddy”, “Varg Veum”), è tratta dall’omonimo romanzo (ancora non distribuito in edizione italiana) dell'ormai celebre scrittore norvegese Jo Nesbø, autore di noir come “L’Uomo Di Neve”(2010) e “La Ragazza Senza Volto”(2009).
Il film può dare l’impressione di seguire la scia del successo editoriale di Stieg Larsson e delle trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi, ma è influsso soltanto apparente, poiché le differenze sono notevoli sotto molti punti di vista. Si può comunque parlare a pieno titolo di una rinascita nordeuropea anche dal punto di vista letterario, poiché in campo cinematografico, dal Dogma di Von Trier fino a Nicholas Winding Refn, l’ estremità più fredda del nostro continente si è già confermata culla di un nuovo corso tra i più fulgidi che si siano visti sui grandi schermi da molti anni a questa parte.
La pellicola mescola noir, thriller e ironia, sebbene la chiave umoristica possa risultare, a volte, un po’ fuori luogo, quasi una forzatura non necessaria in un contesto che avrebbe potuto essere più puramente cupo: l’umorismo nordico è forse per noi non immediatamente comprensibile, ma ciò non inficia il buon risultato complessivo del’opera, seppur essa non sia esente da qualche scivolone di sceneggiatura (adattata dal romanzo di Nesbø per mano di Lars Gudmestad e Ulf Ryberg). Il meccanismo a incastro del plot ogni tanto si inceppa, generando dei vuoti che possono lasciare interdetti; il noir è genere che va maneggiato con cura ,Tyldum guarda a modelli assai elevati ossia nientemeno che al Maestro Hitchcock, in primis nelle tematiche, ad esempio il deflagrante potere distruttivo di un individuo sull’ordinaria vita altrui.
Il compito è ben svolto, la macchina da presa è agile e sicura e il montaggio ha un ruolo fondamentale nel dare un ritmo fin troppo accellerato alla vicenda, al punto che in alcuni momenti si fatica quasi a seguirla; la fredda e netta fotografia di John Andreas Andersen (“King Of Devil’s Island”) rende perfettamente l’atmosfera del racconto, e le musiche accompagnano armoniosamente l’insieme, ma a fine visione, per quanto nel complesso soddisfatti, si rimane con la sensazione di aver percepito qualche nota stonata in una sinfonia per altri versi ben riuscita.
Queste pecche possono essere ritrovate, come si diceva, nelle falle del plot, e nella varietà di registri che non sempre riescono a sposarsi in modo armonioso. Tuttavia, il valore della pellicola riesce a restare al di sopra della media, seppur paghi lo scotto dei suoi errori, soprattutto in un finale poco credibile.
Il protagonista, Roger (ottima l’interpretazione di Aksel Hennie, che regala al personaggio il suo volto al tempo stesso algido e infantile), subisce una trasformazione nel corso del narrato: da cinico uomo d’affari il cui unico punto debole è la bellissima moglie Diana (Synnøve Macody Lund), che ha il terrore di perdere e che crede di tenere legata a sé accontentandola in tutto tranne che nel suo unico e reale desiderio, ossia la maternità, si trasforma in preda, paranoico fuggiasco dopo l’incontro col fascinoso Clas Greve (Nikolaj Coster-Waldau, noto per la serie televisiva “Game Of Thrones”) , manager olandese a capo di una società leader nel rintracciamento tramite gps. Per mantenere il suo dispendioso tenore di vita, dettato dall’insicurezza di fondo dell’avere una moglie così “bella e intelligente” e dalla materialistica ingenuità del credere che sia sufficiente il denaro a non farla scappare, Roger si dedica ai furti d’arte, usando la sua attività di recruiter del personale per raccogliere informazioni sulle sue potenziali vittime. Egli è dunque un uomo fragile, Diana è il suo tallone d’Achille e l’astuto Clas lo colpisce proprio nel vivo, scatenando l’istinto più malsano: la gelosia. Un Rubens custodito in casa di Greve, i pensieri ossessivi di Roger, ma soprattutto la sete di potere dell’olandese che sfocerà in follia, daranno vita a una caccia all’uomo che vedrà Brown in situazioni talvolta tragicomiche, che smorzano, purtroppo, il potenziale alto voltaggio di tensione del racconto.
Il rapporto Roger/Clas/Diana è un triangolo interessante e reso in maniera anche piuttosto efficace, nel suo essere terreno di scontro di possesso, conflitto e rabbia; si pecca però di un buonismo eccessivo, una dose di cattiveria in più avrebbe reso il tutto assai più godibile, in special modo nella parte finale.
Nel complesso, una pellicola interessante, senza dubbio originale, e di buona fattura; tuttavia, una maggiore destrezza nel maneggiare registri diversi e l’aggiunta di un cucchiaio di cinismo avrebbero regalato un risultato decisamente superiore.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Titolo Originale: Hodejegerne
Norvegia/Germania - 2011
Regia: Morten Tyldum
Mi piace come scrivi, soprattutto il tuo modo di andare a fondo nell'analisi del film. D'ora in poi ti seguirò con piacere...
RispondiEliminaun saluto da una critica, blogger e fan di CineClandestino...;-)
Ciao! ti ringrazio e ricambio sinceramente i complimenti :) Ho aggiunto il tuo blog ai preferiti, ho letto ora alcune tra le tue belle recensioni e ti seguirò molto volentieri :)
EliminaUn saluto a te!