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Hellraiser
(1987)
“No, niente lacrime! Non si deve
sprecare così la sofferenza”
(Pinhead)
Hellraiser,
primo lungometraggio diretto dallo scrittore Clive Barker dopo i corti Salome
(1973) e The Forbidden (1978), tratto dal suo racconto The Hellbound Heart (Schiavi
dell’Inferno, 1986), rappresenta un elemento atipico nel panorama horror anni
’80: se il personaggio di Pinhead è ormai annoverato tra i “nuovi mostri” del
cinema di genere, in special modo in Gran Bretagna (paese d’origine di Barker e
patria del film) e negli Stati Uniti, comparendo su magliette e gadgets di ogni
tipo, vero è, d’altro canto, che la reale potenza e complessità di questa
pellicola, per molti versi superiore allo scritto, non è mai stata compresa
appieno dal grande pubblico, in special modo nel nostro Paese.
Troppo
adulto per un’audience teenageriale, che è quella a cui, erroneamente, la
distribuzione mira quando si parla di genere orrorifico, Hellraiser è stato
apprezzato per il suo lato gore e splatter, peraltro non eccessivo, ma è
rimasto nel limbo dei film non completamente metabolizzati, poiché la sua
stratificazione di significati e riferimenti andava ben oltre il semplice
effetto visivo ed è stata accolta soltanto da una nicchia di pubblico, che già
conosceva le opere e le tematiche dell’autore o che era comunque più aperta ad
una tipologia filmica completamente diversa dai vecchi schemi.
Clive
Barker (nato a Liverpool nel 1952, dunque trentaquattrenne all’epoca della
pubblicazione della novella che darà vita a Hellraiser) esordisce come
scrittore nel 1984 col primo dei celeberrimi Libri di Sangue, antologie di
racconti agghiaccianti, che hanno il dono di restare ancorati all’inconscio del
lettore, caratteristica che diventerà palese nel successivo romanzo, The
Damnation Game (Gioco Dannato, 1984), personalissima rilettura del mito di
Faust. Fin da queste prime opere la cifra stilistica che ora definiamo Barkeriana
è già intuibile, gettando dunque le solidissime basi di quella che diverrà la
sua poetica nella letteratura horror (da non dimenticare, infatti, le
incursioni dell’autore in altri generi, il fantasy in primis).
Schiavi
dell’Inferno è una narrazione breve (164 pagine) e asciutta che tuttavia
sortisce l’effetto di essere efficacemente descrittiva, delineando alla
perfezione personaggi e contesti; Barker la rielabora in forma di sceneggiatura
per la preparazione delle riprese del film, apportando cambiamenti sia per
volere della produzione (ad esempio, nella parte finale: nello scritto, i
Cenobiti si comportano in modo equo, mantenendo la promessa e lasciando andare
Kirsty, mentre nel film continuano a volerla portare con loro), sia per
renderla più funzionale alla forma filmica. Nella pellicola vediamo dei
caratteri maggiormente a tutto tondo, privi delle sfumature presenti nel
racconto, eccezion fatta per Julia (Clare Higgins), che, contrariamente alla
donna bella e vagamente bamboleggiante
di Prigionieri Dell’Inferno, dà al ruolo una qualità austera, crudele, una vera
femme fatale schiava di una passione
che la renderà mostruosa. La stessa Kirsty (Ashley Laurence) in Hellraiser
riveste le tipiche caratteristiche dell’eroina positiva, in contrapposizione a
Julia, venendo dunque privata delle ambiguità che la contraddistinguevano nello
scritto Barkeriano.
Hellraiser
è, come già detto in precedenza, opera complessa e non così immediata come
potrebbe apparire. I Cenobiti (dal latino cenòbium, vita in
comune) sono,
nella realtà, monaci cristiani ortodossi le cui prime comunità risalgono al IV
secolo, che vivono secondo una rigida disciplina; per Barker non fu dunque
necessario spiegare, almeno in questo primo film, le origini di queste
creature, poiché il loro nome disvela già molto: non è azzardata l’ipotesi che
l’autore abbia voluto donare ai suoi personaggi una caratteristica sacrale,
considerandoli un vero e proprio ordine religioso, in questo caso di natura
infera, nel quale l’esplorazione delle sensazioni più estreme viene compiuta al
fine di raggiungere uno stato di estasi suprema, che il Cristianesimo
definirebbe beatitudine. Lo stesso
personaggio di Pinhead (il memorabile Doug Bradley) , sia nel libro che nel
film non è indicato con questo nome: nel racconto, non è nominato, e non è
figura di spicco rispetto agli altri Cenobiti, mentre nei titoli di coda di
Hellraiser compare come lead cenobite. La denominazione di Pinhead nacque da
un soprannome, che fu poi utilizzato nei sequel; Barker lo definì “indegno” e
per i fumetti tratti dalle pellicole, pubblicati negli Stati Uniti dalla BOOM!
nel 2011, utilizzò l’appellativo che aveva scelto nella prima fase di
sceneggiatura: “Priest”, Prete, a sottolineare ulteriormente il carattere ieratico
del personaggio.
L’entrata
in scena dei Cenobiti, che ha luogo solo nell’ultima mezz’ora di narrato
(nonostante compaiano, brevemente, già nell’incipit), è infatti
meravigliosamente solenne, sottolineata da cupissimi rintocchi di campane, e
appare realmente come qualcosa di sacro e temibile. Qui si ritrova,
probabilmente, la differenza più notevole tra libro e opera visiva, ciò che
rende la seconda superiore al primo: nel film, li vediamo, in tutta la loro terrificante bellezza. Le poche parole
pronunciate da Pinhead sono sufficienti a svelarci la loro natura ambivalente (“demoni per alcuni, angeli per altri”), a raccontarci il loro Mondo, nel quale
Piacere e Dolore si fondono fino a diventare una cosa sola.
La
sofferenza come estasi suprema è tematica centrale, palese richiamo al
sadomasochismo: non a caso, dopo il rifiuto da parte della produzione
dell’utilizzo del medesimo titolo del libro, The Hellbound Heart, poiché giudicato un po’ troppo romantico, Barker propose la dicitura, decisamente più
forte, di “Sadomasochists from Beyond the Grave” (“I Sadomasochisti
dall’Oltretomba”), rifiutata anch’essa per il contenuto sessuale eccessivamente
esplicito. Dagli abiti in pelle e pvc dei Supplizianti/Cenobiti fino alle
torture con ganci e catene, ogni cosa ha un sapore di sesso e dolore, piacere e
patimento, tipica delle pratiche bdsm. Il rapporto tra Julia e Frank (Sean
Chapman, viscidamente fascinoso) è proprio di tale natura, che vede lui in
quanto elemento dominante e la donna dipendente in tutto e per tutto dalla sua
volontà; è relazione ambigua, basata sull’attrazione sessuale e nata proprio
alla vigilia delle nozze fra lei e Larry (Andrew Robinson), padre di Kirsty e
vedovo della prima moglie; è una passione feroce e divorante per Julia, che non
vede Frank da anni ma non ha mai smesso di pensarlo.
Un passo
indietro, a questo punto, è d’obbligo per arrivare alle origini di ciò che
rappresenta il cuore di Hellraiser: la scatola di Lemarchand o Configurazione
del Lamento, oggetto-puzzle tramite il quale, una volta trovata l’esatta
combinazione, si spalancano le porte della dimensione parallela (definita
Inferno nel primo film, Labirinto nel secondo) abitata dai Cenobiti. La
riuscita nella risoluzione dell’enigma è legata all’intensità del desiderio di
venirne a capo, particolare che nella trasposizione filmica viene tradito
poiché anche Kirsty, quasi casualmente, la schiude.
Hellraiser
inizia in un luogo non precisato del Nord Africa, in cui vediamo Frank
acquistare l’oggetto da un mercante asiatico; nell’inquadratura successiva, è
nel solaio di una casa disabitata (che si rivelerà poi essere la dimora di
Larry e Julia): nel momento in cui la puzzle box si muove, dei ganci affondano
nella sua carne. Frank, dunque, resta sempre in quel luogo, seppur in una
realtà altra: farà ritorno, completamente divorato dalle torture dei
Supplizianti, grazie a qualche goccia di sangue di Larry, feritosi
accidentalmente. Per tornare in forze necessita di altro plasma, e Julia inizia
ad uccidere: dalla passione si passa quindi ad una forma di Amore deviato da
parte della donna, nel quale lei è soltanto un tramite, usato da Frank per
ottenere uno scopo ben preciso.
Ciò che il
film non svela, a differenza del libro, è la motivazione che spinge Frank ad
impossessarsi della Configurazione del Lamento: l’uomo ha sperimentato ogni lussuria terrena al punto di esserne saturo, e non può resistere a ciò che la
scatola promette, ossia piaceri inimmaginabili. E’ questo dunque, che lo muove
verso la dimensione Cenobita, che lo trascina al cospetto dell’idea di massimo
godimento come tutt’uno con la più atroce delle sofferenze fisiche; essi stessi
sono a loro volta perennemente suppliziati: i loro volti e corpi sfigurati
(Chatterer, Butterball), oppure flagellati da spilli o altri strumenti di deliziosa tortura (Pinhead, la Cenobita Femminile).
Il concetto
di sadomasochismo non è per tutti i palati, soprattutto se inserito nel
contesto di un horror che la produzione e la distribuzione avrebbero voluto
indirizzare ad un pubblico giovane: Hellraiser è, per contro, un film
profondamente adulto, non a caso scritto da una persona che aveva superato i
trent’anni, e che da lì a poco, all’inizio degli anni ’90, avrebbe dichiarato
pubblicamente la propria omosessualità, in un’epoca in cui l’ ”outing” non era
ancora una moda bensì un atto coraggioso in una società moralista e bigotta. I
preconcetti superficiali e pruriginosi si sono sprecati, ad esempio nell’affiancare
la sua “diversità” (?) sessuale con la filosofia sadomaso presente nel film. Il
significato , con tutta probabilità e come già accennato, è di natura più
complessa e vicino a terreni teologico-religiosi:il concetto di sofferenza come
strada verso l’estasi mistica è infatti presente non solo in culti (primitivi e
non) di ogni parte del mondo, ma è palese nel Cristianesimo stesso, nelle
figure dei martiri, e nelle auto-flagellazioni ancora oggi praticate da alcuni
fedeli in cruente cerimonie di devozione estrema.
Il tema
della diversità, che sarà preponderante in Cabal (Nightbreed) (1990) è comunque presente, non soltanto
nelle figure dei Supplizianti, sommi sacerdoti del Dolore, dunque eletti,
differenti poiché superiori, ma è evidente in Frank, individuo corrotto e
lascivo, nauseato da ciò che la vita gli offre, desideroso di superare gli
stretti confini di ciò che gli sta attorno. E’ ingordigia edonistica ciò che lo
spinge a risolvere l’enigma della Configurazione del Lamento, brama che vedrà
una punizione nelle torture che dovrà subire: c’è dunque qualcosa di un novello
Prometeo in Frank, uomo che ha voluto spingersi troppo oltre per poi ritrovarsi
a patire i supplizi inferti dai Cenobiti, qui strani e sinistri Dei.
La
pellicola è stata realizzata con un budget relativamente ridotto (un milione di
dollari), fattore che non ha influito sulla qualità degli effetti speciali (ad
opera di Cliff Wallace e, non accreditati, Dave Chagouri e lo stesso Barker in
veste di animatori) se non nelle scene finali, nel punto della lavorazione in
cui i fondi erano esauriti e il regista e Chagouri hanno dovuto improvvisarsi
nell’animazione, nel giro di un weekend e con abbondante alcool in circolo.
La regia è abile, tenendo conto che
Hellraiser è stato girato quasi interamente all’interno della casa, il che ha
spinto Barker a dover essere creativo con le scarse risorse a sua disposizione:
spesso c’era spazio per una sola macchina da presa, e questo spiega perché
molte inquadrature siano riprese da un’unica angolazione; inoltre, il movimento
in verticale era sovente l’unico possibile, ecco dunque le zoomate ed il punto
di vista dall’alto rispetto ai personaggi.
Com’è noto,
lo score del film fu originariamente composto dalla band industrial dei Coil, e
Barker era entusiasta del risultato. La produzione purtroppo lo rifiutò,
optando per una musica più tradizionale composta da Christopher Young. Il
lavoro dei Coil fu pubblicato come The Unreleased Themes For Hellraiser e a
tutt’oggi è una rarità; le tracce create dalla band sono incredibilmente
suggestive, rarefatte, dal sapore esoterico, in poche parole perfette per
l’opera. Ascoltandole, chiudendo gli occhi, non si può far altro che immaginare
il lento incedere dei Cenobiti ed essere percorsi da un brivido. Tuttavia, lo
score di Young, per quanto non all’altezza dei magnifici suoni dei Coil, riesce
ad essere efficace: orchestrale, parte in sordina per poi esplodere in un
magniloquente e sinistro crescendo, donando alle apparizioni delle creature una
qualità magica ulteriormente accentuata.
Un aneddoto
curioso riguarda la frase finale del film, pronunciata da un Frank (che
“indossa” la pelle di Larry) dilaniato dai Supplizianti, mentre si lecca le
labbra lascivo, davanti agli occhi di Kirsty: l’attore Andrew Robinson (Larry),
convinse Barker a cambiarla rispetto
alla sceneggiatura, che prevedeva un secco “Fuck
You”, sostituendola con il più evocativo “Jesus wept” (“Gesù versò
delle lacrime”). Nel doppiaggio italiano l’affermazione viene completamente
stravolta, tramutandosi in “Sei riuscita
a liberarti di me” : non è difficile immaginare i motivi dietro a
quest’ennesimo obbrobrio dell’italico doppiare, sicuramente il nome di Gesù non
era gradito in quel contesto, ed è inutile dire che risulta invece assolutamente
coerente con uno dei sottotesti principali del narrato.
Hellraiser
è, al pari della scatola di Lemarchand, oggetto che si schiude solo a chi vuole
comprenderlo davvero, film enigmatico ed incompreso così come lo sarà Cabal:
d’altronde, anche il mondo di squisiti piaceri e tormenti mostrato dai Cenobiti
è privilegio di pochi, dunque ad essi ci abbandoniamo, paralizzati in una
smorfia di sofferente godimento.
Chiara Pani
(araknex@email.it)
Hellraiser
Uk - 1987
Regia: Clive Barker