martedì 22 maggio 2012

L' intervista esclusiva a Roger Corman per Horror.it



pubblicata su Horror.it:



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In occasione della sua visita a Torino, per la retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema, noi di Horror.it abbiamo avuto l' onore e il piacere di intervistare il grande Roger Corman

Il credito va a Andrea K. Lanza, di Horror.it, per aver fatto in modo che l' intervista avesse luogo e per aver ideato le domande, redatte con la collaborazione della sottoscritta e dell' amico Corrado Artale.

Ringraziamo Il Museo Del Cinema per la gentile collaborazione, nella persona di Veronica Geraci, Ufficio Stampa.

L' intervista è stata eseguita da me medesima.



Buona lettura :)


INTERVISTA A ROGER CORMAN




Roger Corman, ossia il Re del low-budget. Una vera icona, per tutti gli amanti del cinema, l’ uomo che lanciò nomi del calibro di Jack Nicholson, e registi come Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante, James Cameron, tutti provenienti dalla sua factory. I suoi adattamenti da Edgar Allan Poe restano indimenticabili, così come Vincent Price, che ne diventò mattatore indiscusso.  Ma Corman ha fatto molto di più: nella sua lunghissima carriera, non solo ha diretto un numero impressionante di pellicole ma è tuttora produttore assai prolifico.
I suoi titoli più interessanti sono anche tra i meno conosciuti: Il Serpente di Fuoco, I Selvaggi, Gas-s-s-s, molti film che esulano dal genere horror e spaziano nei territori più disparati.

Noi di Horror.it abbiamo avuto l’ onore e il piacere di intervistarlo durante la sua recente visita a Torino, in occasione della retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema (che ringraziamo per la preziosa collaborazione, nella persona di Veronica Geraci).

Le domande sono opera di Andrea Lanza, con la collaborazione di Chiara Pani e Corrado Artale. L’ intervista è stata eseguita da Chiara Pani.

Conosciamo tutti la parte del suo lavoro relativa al gotico e all’ horror, come il celeberrimo “ciclo Poe”, ma ricordiamo sempre con piacere la parte più realistica, oseremmo dire pulp in certi film. Pensiamo a “The Wild Angels” con un Peter Fonda pre Easy Raider o al bellico “The Secret Invasion”, senza dimenticare quel film visionario e particolare quale fu “The Trip”. Qual’ è la dimensione cinematografica nella quale si sente più a suo agio, più libero creativamente?

Amo l’ intero processo del girare un film e mi piace lavorare con quanti più stili possibile, perciò ho realizzato film realistici, su situazioni contemporanee come “The Intruder” ( “L’ Odio Esplode A Dallas” - 1962), che parla dell’ integrazione razziale nel Sud degli Stati Uniti; inoltre, negli anni ’60, facevo parte della controcultura e realizzai “The Wild Angels” (“I Selvaggi” – 1966) e “The Trip” (“Il Serpente Di Fuoco” – 1967) ma, al tempo stesso, mi piacevano gli horror e ho anche girato film di fantascienza. Dunque, mi divido molto tra tutti questi generi e sono tornato prevalentemente all’ horror e al sci-fi dopo aver sperimentato tipologie filmiche diverse.

Nel 1990 gira un film molto interessante, Frankenstein Unbound, che è arrivato dopo una lunga pausa dalla regia e che è stato parzialmente girato in Italia. Ci parlerebbe di questa particolare scelta delle location e del progetto in generale?

Il film è stato interamente girato in Italia, vicino al Lago di Como, mentre le riprese in interni sono state realizzate a Milano. In realtà, era una pellicola che non avevo intenzione di girare; la Universal aveva fatto una sorta di sondaggio e ne risultò quest’ idea che un film chiamato “Roger Corman’s Frankenstein” avrebbe riscontrato successo. Quindi, mi chiesero se volessi farlo e dissi: “No, ci sono già stati talmente tanti film su Frankenstein che sarebbe solo un altro film su Frankenstein”. Iniziarono a chiamarmi all’ incirca ogni sei mesi offrendomi sempre più denaro. Alla fine, l’ offerta fu così alta che dissi: “Posso tentare un approccio originale nel realizzare un film su Frankenstein, accetto”, e “Frankenstein Unbound” è un romanzo di un autore inglese (n.d.r  Brian Aldiss, il romanzo è del 1973) che ho pensato fosse originale dunque scelsi quello.

Nel 1970 ha prodotto “The Dunwich Horror”, un adattamento da Lovecraft così come il precedente “The Haunted Palace” (La Città Dei Mostri) che invece ha diretto. Ci parli del suo approccio a Lovecraft, solitamente difficile da trattare al cinema, e quali sono state le principali differenze rispetto all’ adattare Edgar Allan Poe.

Mi piace il mondo di Lovecraft e mi piace quello di Poe, ma personalmente mi sento più a mio agio con la visione di Poe poiché i personaggi sono un po’ più complessi rispetto a quelli di Lovecraft, dunque posso lavorare su entrambi i livelli mentali di coscienza ed inconscio. Considerando l’ attitudine di Poe rispetto al proprio lavoro, sceglierei sempre lui. Mi piaceva Lovecraft, poichè non era così diretto come Poe ma era assai buono come base per una sceneggiatura.

E’ curioso, e fa piacere sentirlo dire, poichè molti registi trovano difficoltoso lavorare su Lovecraft.

Lovecraft era più popolare e commerciale negli anni ’20 e a volte è un po’ difficoltoso lavorare con i suoi personaggi e le sue storie poiché non sono molto complesse, tutti i registi preferiscono avere a che fare con concetti più complicati.

La sua carriera di produttore è estremamente varia e ha toccato i generi più disparati, dal “women in prison” ai film con i mostroni giganti: ci dica qualcosa sulle differenze tra il Roger Corman produttore rispetto al regista, se ce ne sono.

Ci sono più analogie che differenze in realtà, poiche per me l’ aspetto più importante, l’ elemento basilare in un film è l’ idea originale. Quindi, sia che io lavori in veste di produttore piuttosto che in quella di regista, in entrambi i casi tutto ha inizio da una mia idea originale, che può essere un qualcosa che viene direttamente da me o magari un racconto breve che mi è piaciuto e che scelgo. Come passo successivo, lavoro con lo sceneggiatore sugli sviluppi, dopodichè coinvolgo il regista nella fase definitiva di stesura dello script, poiché mantengo un lavoro di stretta collaborazione tra regista e sceneggiatore nelle fasi finali di scrittura. La differenza fondamentale, quando produco, è che a questo punto mi allontano e preferisco non essere sul set durante le riprese, mi presento il primo giorno per salutare tutti e se tutto procede bene durante la prima giornata, non torno. Riesco così a percepire la direzione che il regista e il manager di produzione stanno prendendo.

Perchè questa scelta di presenziare solo durante la prima giornata di riprese?

Durante le riprese della prima pellicola che produssi e della quale non curai la regia, i componenti della crew venivano sempre da me per i loro dubbi e le loro domande e io rispondevo loro “non dovreste venire da me, dovreste andare dal regista”, ma erano così abituati a rivolgersi a me che sentii che dovevo lasciare il set, poiché se avessero continuato avrei dovuto dire loro “no, non in questa occasione, qui non sono io il regista”, poiché ovviamente chi dirigeva il film era la persona più appropriata a cui rivolgersi.

Una domanda che ci sta particolarmente a cuore: tra tutti i suoi lavori, ne ritroviamo uno che personalmente consideriamo una delle più potenti e cupe trasposizioni da Shakesperare, “Tower Of London”, girato negli anni 60, il che lo rende un progetto forte e coraggioso. Ci parli di questo film, della particolare scelta del bianco e nero, e se lo considera parte del suo ciclo gotico o piuttosto un oggetto a parte

Credo che si trovi ai confini del ciclo Poe, ha delle somiglianze con gli adattamenti da Poe ma non è esattamente compreso in essi. La ragione per cui venne girato in bianco e nero è dovuta al fatto che, nonostante io avessi ovviamente già girato a colori per l’American International (*AIP), “La Torre Di Londra” fu realizzato per la United Artists e loro vollero il bianco e nero poiché lo impiegavano nei loro film low-budget. Questo è uno dei motivi per cui preferisco lavorare su film a basso costo che finanzio in modo indipendente e sui quali ho pieno potere decisionale.

Ora, una domanda molto comune: il ciclo Poe e, in particolare, il suo rapporto con Richard Matheson

Gli adattamenti da Poe erano davvero basati sulle sue paure. Poe lavorava sia sulla mente inconscia che sul livello cosciente; penso che questi concetti siano venuti alla luce nel XIX secolo, una decina d’ anni dopo, collocando Poe alla pari di un concetto come la psichiatria, e ciò gli rende pienamente giustizia. Ho scelto Dick Matheson semplicemente per I suoi ottimi scritti, è l’ autore della maggior parte dei miei adattamenti di Poe e penso che abbia fatto un ottimo lavoro. Penso sia uno dei migliori, più particolari e profondi scrittori nel genere.

Infatti, Matheson ha adattato alcuni dei racconti di Poe anche in modo talvolta bizzarro, reinventandoli, creando dei “melting-pots”, come ad esempio ne “La Tomba Di Ligeia”, nel quale si mettono insieme più racconti di Poe.

Sì. Uno dei problemi nell’ adattare i racconti di Poe è che sono molto corti. Il racconto breve “Il Pozzo e Il Pendolo” occupa lo spazio di poche pagine; l’ intera narrazione si svolge nella stanza col pozzo e col pendolo e quel che abbiamo dovuto fare fu di creare ciò che andava collocato prima, in modo da poterlo integrare col finale nella stanza del racconto di Poe. 


Si può notare una forte ironia nei suoi adattamenti di Poe, se li paragoniamo agli scritti che avevano un tono comunque più cupo. Sia lei che Matheson avevate il dono di aggiungere un tocco di ironia, ci dica qualcosa in proposito

L’ ironia stava in questo: dopo che ebbi terminato di dirigere i primi film da Poe, sentii che dovevo cambiare un po’ poiché stavo iniziando a ripetermi, non volevo che tutte le pellicole si assomigliassero tra loro. Dunque, divennero un po’ ironiche, così arrivò “The Raven” (I Maghi Del Terrore – 1963), che era un film piuttosto divertente (“oh oh oh” – e ride), e “The Tomb Of Ligeia” (La Tomba Di Ligeia – 1964) divenne sia una storia d’ amore che un horror movie. Ho usato l’ ironia come mezzo per variare le trasposizioni da Poe.

Negli anni 60, dunque in contemporanea ai suoi film gotici, in Italia Mario Bava girava “Black Sunday” con una delle “sue” attrici, Barbara Steele. Cosa ne pensa dei registi italiani low budget di quell’ epoca, come Bava, Margheriti o anche Fulci, che dichiarava di usare la “Formula Corman” come suo metodo di lavoro?

Dei tre, quelli che conosco meglio sono i lavori di Mario Bava. Penso debba essere ricordato di più, faceva film davvero eccellenti. “Black Sunday” (La Maschera Del Demonio – 1960), in particolare, fu il suo primo film che guardai e, sinceramente, scelsi Barbara Steele per lavorare con me proprio perché mi piacque molto in “Black Sunday”.

I suoi prossimi progetti cosa ci riserveranno?

Ho appena terminato un film in Cina, si chiama “Ghost Of The Imperial Palace” (Il Fantasma Del Palazzo Imperiale). Vidi un film, sulla tv di stato Cinese, ambientato in un loro palazzo tradizionale e pensai che era uno dei set più belli che avessi mai visto. 
Dunque, scrissi una prima bozza di storia, cosa che faccio spesso, dopodichè chiamai lo sceneggiatore per stendere il soggetto vero e proprio; tutto iniziò dal fatto che c’ era già un set quindi potevo realizzare un film low budget che sembrasse un film ad alto costo. Il punto interessante è quanto le nostre culture siano differenti e quanto sia difficile per noi, a volte, comprendere la cultura di quel Paese: trovai il produttore cinese, firmai per la co-produzione, dopodichè lo script venne sottoposto alla commissione censura.  Non ne sapevo il motivo, lui non aveva mai parlato di una commissione censura, la quale bocciò il film poichè “i fantasmi sono una superstizione primitiva mentre la Cina è un Paese moderno e non può permettere che venga realizzato un film sugli spettri”. A essere sincero, il mio primo pensiero fu: “stiamo perdendo un sacco di tempo qui” ma subito dopo pensai: “non comprendiamo la loro cultura”. Come ci siamo mossi, io e il mio co-produttore: abbiamo aspettato un po’ di tempo, lui ha preso la medesima sceneggiatura e ha cambiato il titolo da “Ghost Of The Imperial Palace” a “Mystery Of The Imperial Palace” (Il Mistero Del Palazzo Imperiale) in modo da superare il visto censura. Quindi, il film sarà noto in Cina come “Mystery Of The Imperial Palace” (ride) e nel resto del mondo sarà “Ghost”.

Chiara Pani
(araknex@email.it)




2 commenti:

  1. Gran bella intervista! Me la sono goduta con piacere.
    Complimenti Chiara!:-)

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    1. Grazie mille Nick! ^___^ è stato un vero onore poter intervistare un' icona come Corman :)

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